“ Si scrive ciò che si sente e si vive. Si scrive con tutto il proprio essere. E’ la sola maniera di essere onesti, di essere se stessi”.

Ivy Compton-Burnett

martedì 6 novembre 2018

POESIE INEDITE


Dal sito Milanocosa.it alcune poesie inedite con un commento di Adam Vaccaro.

Nota dell’Autrice
Scrivo per la mia personale sopravvivenza psichica. Non ci sono altri modi per dirlo. Amo i libri, in prosa e in versi, li consumo quotidianamente più del cibo. Sono il mio centro di gravità, il perno attorno a cui ruotano i giorni, i mesi, gli anni. Scrivere mi serve per legittimare ciò che vivo, ciò che incontro, ciò che osservo. Ma mi servono anche i libri degli altri, per innescare un dialogo che sia profondo e onesto. Non mi interessa discutere di correnti, stili, canoni. Mi considero un’outsider, nel senso letterale e poco allettante di una “che sta al di fuori”, poi se ne pente, ma di solito ci ricasca.
Scrivere per me è una fatica, come si può intendere dai testi inediti qui proposti, ma irrinunciabile. Quello che mi ritorna, in commenti, considerazioni, recensioni, è sempre una grande gioia, un luminoso momento di apertura, e la conferma di un incontro avvenuto, di un ponte che sono riuscita ad attraversare grazie alla forza delle parole.     
Alina Rizzi

SCRIVERE
Dell’ennesimo giorno
buttato da riti scoscesi
non ricavo che parole
tronche all’origine disperse
in ore chiare e appuntite.

SE RINUNCIO
Se rinuncio alle parole perdo
fili d’anima intrecciati a
quotidiane domande e mi
trasformo in un’effige perfetta
un sarcofago dorato.

INCORNICIO LIBRI
Incornicio libri perché non tutto
vada disperso e mi ricordi cosa
è stato di me raccontando
del tempo rappreso in rari
densi anfratti in nere immagini.

*continua a leggere su http://www.milanocosa.it/anticipazioni/anticipazioni-alina-rizzi

Nota di lettura di Adam Vaccaro
Scrivere o morire, si potrebbe dire leggendo questi testi di Alina Rizzi. Scrivere e leggere come produzione di aria senza la quale il ciclo vitale si interrompe e precipita nella sua impossibilità, nella sua negazione e nel nulla. Una dichiarazione e una condizione senza scampo, che non hanno alcun obiettivo salvifico relegato al solo piano spirituale, ma agiscono dentro la totalità della dramatis personae, generata e creata dalla scrittura: quel Soggetto Scrivente cui il Soggetto Storicoreale affida, deve affidare, la sua possibilità di continuare a esistere, come spirito e come corpo. Meglio: come unità anima-corpo o psicosoma, molteplice e al tempo stesso inscindibile nel suo percorso vitale e drammatico, mentre attraversa dal nulla al nulla il fiume della complessità che gli ha dato vita.
Fiume che rimane o appare incurante della vicenda singola, per cui quest’ultima deve inventare sassi e trampoli di resistenza, di ricerca del tempo più lungo possibile di attraversamento. Invenzione come 
inventio, sia dunque come ritrovamento, che come creazione. Un moto – ed è uno snodo testuale di fondo che va rimarcato – di desiderio, di tensione, di senso e di obiettivo che, però, si esplica e si invera (solo) nell’incontro con l’altro. Il che dovrebbe essere una banalità, ma non lo è rispetto a molti testi contemporanei ornati e appagati dalla coltivazione del proprio giardino ombelicale. Diventa perciò sostanziale esprimerlo per farne motore della proprie parole, che sono “tronche all’origine disperse”, e non vogliono rimanere “domande” chiuse in “un’effige perfetta/ un sarcofago dorato”. Perché sono parole in cerca de “L’aria più limpida del mattino”, in cui respirare e trovare “una leggera brezza/ di suoni e voci più vicine”, in “un tempo distillato/ dall’afasia e dalla penuria”, “della perdita di sé”, anche se “figure inchiodate al racconto/ che dentro il buio/ ancora piene risuonano.” Un crinale che genera una “Vertigine” espressa con l’allegoria allusa “dal merlo instancabile/ sulla rubinia immobile/ così vicina al silenzio.