Dal CORRIERE DI COMO di domenica, 19 ottobre 2014.
Intervista di Lorenzo Morandotti.
- Cosa consiglia a chi
scrive?
“Non
amo dare consigli come non credo nelle scuole di scrittura creativa, pur
avendone frequentata una delle prime, anni fa, con Giuseppe Pontiggia. Per il
semplice fatto che, l’italiano corretto, si può imparare anche a scuola, ma il
talento non si inventa. La capacità di entrare in empatia col pubblico e
raccontare la storia che ha bisogno, più o meno consapevolmente, di leggere,
credo sia un dono e come tale va trattato, cioè senza arrabattarsi perché dia
frutti economici a qualunque costo.
Scrivere
per lavoro, come fa un giornalista, come faccio anche io, non è uguale a
scrivere un romanzo, un racconto o poesia. La scrittura creativa è desiderio e
urgenza: se mancano questi elementi imprescindibili meglio lasciar perdere e
occuparsi di altro. Anche perché, visto i tempi che corrono, solo se se si è
molto motivati interiormente si può continuare a lavorare ai propri testi dopo
le prime inevitabili delusioni.”
- Su cosa sta lavorando
adesso?
“Mi
sto dedicando alla promozione del mio ultimo libro, intitolato BAMBINO MIO.
Quello che le madri non dicono”. E’ un libro scomodo, che cerca di entrare
nella sofferenza indicibile e considerata “vergognosa” delle madri. Ho voluto
raccontare e immaginare i dubbi e le paure di donne lasciate sole con un evento
sconvolgente – sia nel bene che nel male- come la maternità. Non è
stato facile, è il risultato di anni di lavoro e di ricerche, ma la gratitudine
che mi arriva da donne e uomini, durante le presentazioni, mi ripaga di tutta
la fatica e mi convince sempre più che, solo scrivendo di ciò che è importante
per sé, si può trasmettere qualcosa e condividere.”
- Ci sarà un futuro per
il libro di carta, o gli scrittori diventeranno tutti “liquidi”?
“Adoro
la carta: i fogli, i quaderni, i libri. Ho seguito recentemente un corso di
legatoria per cucirmi da sola i miei taccuini. Scrivo a mano un diario da
quando avevo 20 anni e al momento ho riempito 54 grossi quaderni. Non posso
neppure immaginare una vita senza libri di carta, spago e colla! Non ho niente
contro gli e-book: se invogliano più gente a leggere vanno benissimo. Ma io amo
l’oggetto libro, oltre il suo contenuto, col suo odore e il suo peso. Devo
vedere i miei testi stampati, per poterne scovare pregi e difetti. Non credo
assolutamente che gli e-book sostituiranno i libri tradizionali. Del resto,
l’invenzione dell’aspirapolvere, non ha mica fatto sparire tutte le scope dal
pianeta!”
- Quando conta il genere
letterario?
“Questa
mania degli editori di voler catalogare i testi in un preciso genere è
insopportabile. Capisco che loro debbano compilare delle collane, e quindi
suddividere i testi per approntare un catalogo che sia pratico da consultare,
ma non tutto si può incasellare. Ho sempre odiato l’etichetta di libri erotici,
data ai miei primi romanzi: trattavano d’amore e passione, come Madame Bovary o
Anna Karenina, ma nessuno si è mai sognato di definire questi ultimi “erotici”.
Non
credo esista un “genere” femminile. Credo esistano libri scritti dalle donne
pensando ad altre donne, nella speranza che insegnino qualcosa anche agli uomini.
Anni fa, i libri scritti da donne, erano per lo più di argomento intimistico,
perché è della vita interiore che le autrici avevano maggiore esperienza. Oggi
non si può più dire la stessa cosa: le donne lavorano, viaggiano, fanno ogni
genere di esperienza che prima facevano solo gli uomini. Quindi pubblicano libri di tutti i tipi e va
benissimo così. La mia personale preferenza resta per gli scritti diaristici e
autobiografici di donne moderne o del passato, e per i romanzi in cui, però, il
proprio vissuto è filtrato dall’obiettivo letterario e quindi assume un valore
più profondo e universale.”