“ Si scrive ciò che si sente e si vive. Si scrive con tutto il proprio essere. E’ la sola maniera di essere onesti, di essere se stessi”.

Ivy Compton-Burnett

PLAQUETTES

SILLABARIO DELLA DISTANZA
edizioni "Alla pasticceria del pesce"
marzo 2018
con 7 opere dell'autrice




IO SO
 edizioni "Alla pasticceria del pesce" 2014
con 7 opere di Nadia Magnabosco




Lettura del 15 marzo 2016, Milano, Parlamento Europeo






DIO E LA BAMBINA
( I quaderni di Orfeo, luglio 2005. 

Impresso a mano in 99 copie numerate)


a Sylvia Plath



ALINA RIZZI, Dio e la bambina, Quaderni di Orfeo, 2005.
(Dal "Corriere di Como", 28 ottobre 2005.)

Nasceva il 27 ottobre del 1932 , Sylvia Plath, scrittrice e moglie del poeta Ted Hugues. Nei diari si firmava “la bambina che voleva essere Dio”: a lei Alina Rizzi dedica la sua ultima raccolta poetica, Dio e la bambina, edita nei Quaderni di Orfeo di Milano. «Io ti conosco» dichiara la Rizzi nel primo dei sei testi della silloge. Nell'inquieta esistenza della poetessa americana l'autrice porta ogni donna ad identificarsi, ogni donna che conosca il demone della scrittura e per essa rubi stracci di tempo alle incombenze quotidiane, «dove si incistano i giorni»; come faceva Sylvia, «bimba divina», che scrisse versi immortali malconciliando il ruolo di madre («le lancette rosa / nella stanza accanto»), moglie -tradita-, casalinga, fino alla soglia di un'alba livida di febbraio -Edge si intitola l'ultimo testo che lasciò sul tavolo della cucina. Aveva già tentato due volte di darsi la morte, la prima in seguito all'elettroshock subito a causa dei disturbi mentali da cui era afflitta («com'era lo squarcio azzurrato / lo sprizzo di cielo elettrificato?»); anche la seconda ingestione di barbiturici non l'aveva uccisa, «indigesto boccone due volte rifiutata». Scrive Sylvia nel 1962 alla madre: “Sono una scrittrice di genio: ce l'ho dentro. Sto scrivendo le poesie migliori della mia vita; mi daranno fama”. La Plath è oggi un'icona della scrittura al femminile; il suo «canto acuto», ha dispiegato ali che «danzano aguzze come aghi». Con lei Alina dialoga, celebrando la sua «impaziente attesa / la vita mai abbastanza», il «corpo offeso / assolto dal calore», ed evocando tutte le «bimbe dai fianchi larghi», donne che «compiliamo la nostra Bibbia / appuntamenti altro che sogni!», «con gli occhi appesi ai vetri» -come la Eveline dei Dubliners di Joyce.
11 febbraio 1963: «Sylvia ha rinunciato al suo giro in aquilone», ora «Dio e la bambina vanno a braccetto / lungo un filare di cipressi», ma ancora vivono i «sogni frantumati all'alba» di noi che «attraversiamo l'imbuto del silenzio», condannate a scrivere nel «respiro dei ritagli».
Serena Scionti


presentazione a RESIDENZE ESTIVE, Duino, College Europeo, 2006



Dio e la Bambina, di Alina Rizzi
quaderni di Orfeo

…ancora Fenice (recensione di Stefania Caracci)
La tessitura pregiata di questo piccolo libro compone un raffinato mosaico dai colori incendiari, che fanno eco alla poetica di Sylvia Plath, rendendole omaggio.
Abilmente fenice, negli esigenti versi della Rizzi, la poetessa riemerge con uno slancio titanico dal mare della sua oceanica complessità. Torna ad essere la Medusa mangiatrice d’uomini, la bambina onnipotente e l’ebrea denudata, per l’incanto di quanti, ancora una volta seguono ammaliati le sue potenti metafore, le allegorie liriche, le oniriche reincarnazioni. L’appassionata autrice del volume, sensibile interprete della Plath, ricama trame di incandescenti emozioni, quelle stesse che hanno connotato la breve esistenza della poetessa, e le contraddittorie disposizioni dell’ animo ebbro della vita, e troppo spesso privo di riferimenti soddisfacenti, per accontentarsi di un equilibrio che non coincidesse con la saturazione della creatività.
Spiegando in immagini specchio la sensualità tormentata e vibrante della Plath, espressa nei rossi carnali dei suoi papaveri e delle sue labbra, il calore ambito di amplessi audaci e offesi, e le angosce stratificate e debordanti di un onnipresente sofferenza, la Rizzi veicola il percorso creativo dietro le orme della sua musa ispiratrice affannata, inseguita da una pantera che non le toglierà il fiato dal collo fino all’undici febbraio del ’63, quando dissocerà l’artista dalla donna, infilando la testa nel forno della sua cucina a gas.
La Rizzi scioglie le briglie della propria fertile vena nel sangue di lei e delinea fedeli habitat di livide cucine in cui sibilano serpenti tra le pentole e le posate, stanze precocemente abbuiate, affollate di presenze scomode e urticanti, campagne dal soffitto bianco-nebbia sotto cui vagano uomini panzer, vestiti di nero, pronti ad uccidere e madri vampiro che mirano al cuore.
La Plath che emerge è ancora la bambina scarlatta che sfida dio, avvolta in un cono di ombre sfilacciate e insane che rendono gli occhi ciechi, e pure faro luminoso per sciami di stelle falene che scalpitano alle sue calcagna, danzano al suo canto e si nutrono dello specchio d’acqua dove s’agita la sua immagine riflessa.




TU SEI UNO
  (Con 7 collages dell’Autrice)
Signum edizioni d’arte - dicembre 2006
collana diretta dal pittore Claudio Granaroli



(recensione di Serena Scionti per il Corriere di Como, 11-2-2007)

Tu sei uno, dice l'ultima raccolta poetica di Alina Rizzi, corredata di sette collages dell'autrice. Inserita come 138 nella Collana dei numeri, conferma Alina Rizzi quale poetessa d'amore quotidiano, attenta alle dinamiche collettive del dialogo fra uomo e donna, ma nel contempo all'unicità delle relazioni: ogni incontro, per quanto fugace, è «obliterato a fuoco nella carne». Nuovi Ulisse e Calipso, gli amanti si rincorrono in un gioco predatorio, dove spesso è l'uomo a fuggire e la donna a invocarne il nostos. Sempre sul punto di partire, il maschio ha fretta, non ascolta i racconti di Sheherazade, che a lui, viandante, si dedica con lo spirito e il corpo, consacrando l'incontro come eterno: Tu sei uno, «mi piace il tuo corpo che non conosco», gioiosamente. Uno ed unico, solitario incontro, eppure «perfetto -fino al mattino./ Nulla ci siamo negati, neppure la fiducia». Gli amanti non devono, come sventuratamente fece Orfeo, voltarsi indietro per trattenere ciò che è stato: dolore o gioia, bisogna saper dire addio, e chiudere la porta che «ora germoglia / e stilla rossa linfa».

INTERVISTA

1-Nella tua ultima pubblicazione, Tu sei uno, parli d'amore, tema portante di tutti i tuoi testi. Fra di essi, quale ti ha dato più soddisfazione e notorietà?
Ho avuto notorietà dalla pubblicazione del romanzo Amare Leon (Borelli) che poi è diventato l'ultimo film di Tinto Brass: Monamour. Ma ogni libro che scrivo mi dà soddisfazione; ognuno di essi rispecchia un periodo diverso della mia vita, che non invalida i precedenti, ma a volte ne prende le distanze. Io cambio, i miei libri cambiano. Non credo ci sia incoerenza in questo.
2-Scrivere oggi: quali sono le difficoltà per riuscire a veicolare le proprie parole? E quali, nello specifico, le difficoltà per chi è donna?
Le difficoltà di pubblicazione per uomini e donne credo siano più o meno le stesse: per fare arrivare il proprio dattiloscritto sul tavolo di un editore vero ( cioè non uno stampatore, “editore a pagamento") occorre conoscere qualcuno che faccia una breve presentazione iniziale. Non parlo di
una raccomandazione, ma di una semplice indicazione affinché il testo venga visionato prima di tutti quelli arretrati. Purtroppo siamo in tanti a voler pubblicare e in pochi poi a comperare libri: l'editore fa le sue scelte, che a volte tengono conto più del lato commerciale dell'operazione che della qualità dell'opera. Ma è il marketing, no?
3- Perché si scrive? Quale necessità urge dentro?
Io scrivo perché non posso farne a meno, semplicemente. Non credo ci sia altra ragione per scrivere. Non si guadagna, si lavora molto senza mai potersi dire arrivati da qualche parte, e ogni nuovo libro pubblicato è una scommessa. Una persona sana di mente coltiva altri interessi e si guadagna da vivere con un lavoro più redditizio. Ma uno scrittore "vero" non credo abbia molte possibilità di scelta: scrive per non morire.
4-Quali le gioie dello scrivere? Può la scrittura creare un circolo virtuoso tra scrittrici e lettrici?
Le gioie vengono quando riesci a completare un lavoro e a sentire dentro che corrisponde a quello che volevi dire. Poi ovviamente quando il libro incontra il lettore e tu, ad una presentazione pubblica, lo vedi annuire con la testa. Oppure lo senti dire: "sa che anche io..." o " è proprio quello che è capitato a me...". Vuol dire che c'è stato un incontro profondo, che la tua scrittura non si è persa nel vuoto ma ha raggiunto l'altro. E' soltanto questo il vero piacere.
5-Esiste, secondo te, una specificità della scrittura/letteratura femminile? O si deve solo parlare di buona e cattiva letteratura?
Donne e uomini sono diversi, fortunatamente. Perché mai dovrebbero sentire e scrivere allo stesso modo? Le donne non scrivono libri migliori, scrivono libri diversi, e viceversa. Il fatto poi che le donne abbiano avuto libero accesso all'istruzione e alla cultura in tempo così recenti, porta inevitabilmente ad un eccesso di circolazione di libri maschili rispetto a quelli femminili. Però mi chiedo: perché gli uomini non sono curiosi di conoscere cosa le donne si sono tenute dentro per tanti secoli? Non considerano i loro pensieri degni di nota? O temono la concorrenza?
6-So che svolgi un ruolo di divulgatrice culturale al femminile: hai curato antologie, tieni un sito, stai promuovendo un circolo culturale. Parlacene.
Apprezzo, studio e cerco di divulgare la scrittura femminile il più possibile, proprio perché fa parte della storia recente e ha bisogno di mezzi per recuperare il tempo perduto. Le antologie femminili servono ad offrire un panorama ampio e il più completo possibile delle autrici contemporanee. Il sito (www.segniesensi.it) offre uno spazio di visibilità non solo alla scrittura delle donne, ma anche all'arte, moderna e passata. E' aperto a contributi e commenti, ricco di interviste, recensioni, consigli di lettura e approfondimenti su autrici del passato; vi si trovano anche brani di testi ormai esauriti o fuori catalogo. Il circolo, con sede ad Erba, (direttore Antonella Arcuri e vicedirettore Alina Rizzi) intende promuovere le attività femminili in ambito culturale, artistico, e sociale, allargando gli orizzonti anche oltre la provincia. Ambisce ad un colloquio tra maschile e femminile, che sia utile per un riavvicinamento dei ruoli e uno scambio profondo delle proprie potenzialità ed esigenze.
7-Qual è il tuo rapporto con il territorio di Como? Come valuti la situazione delle scrittrici comasche?
Onestamente, il mio rapporto con il territorio è di "amichevole distanza". Non credo ci si possa sentire accolti da un'intera comunità, non è necessario. E' già molto avere il proprio pubblico, anche piccolo, ma attento. Non ho contatti con le scrittici comasche, non ne conosco se non superficialmente. Trattiamo temi diversi, forse. Le mie amiche scrittrici stanno un po' ovunque ma questo non mi crea grossi problemi: non amo l'orizzonte ristretto della provincia, mi piace lavorare con editori diversi, guardare un po' più lontano.
8-Hai un bambino di tre anni. Credi che una donna possa continuare a fare la scrittrice divenendo madre o farebbe meglio a scegliere tra le due?
Tasto dolente. Sono convinta che una donna possa e debba continuare a fare il proprio lavoro, se ci tiene, pur avendo un figlio. Ma non si aspetti che sia facile come si tenta di farle credere. Io ho voluto mio figlio, occuparmi di lui personalmente, e continuare a lavorare. Ma ho pagato un prezzo alto, mi sono ammalata. Non a causa di mio figlio, sia chiaro, bensì della solitudine in cui viene lasciata una madre che non è pronta ad immolarsi per la prole. Assenti le istituzioni, assente la comprensione delle altre donne, che pure sanno. Non a caso il mio prossimo libro tratterà di questo argomento: il lato oscuro della maternità, tutto il non detto, la sofferenza sepolta sotto il mito della famiglia del mulino
bianco. C'è tanta ipocrisia attorno a questo tema: ma i risultati poi si vedono nelle pagine di cronaca quotidiana.
9- Dunque il tuo prossimo libro inverte la rotta: dall'eros alla cronaca nera!
Sì, un bel salto, lo stesso che ho fatto io da quella che ero dieci anni fa e quella che sono oggi. Ma l'eros-passione continua ad essere un argomento interessante per me, per cui vi faccio sovente qualche incursione poetica.
10-Un'ultima riflessione da scrittrice: meglio la prosa o la poesia?
La prosa e la poesia sono linguaggi differenti. Preferisco la prosa quando voglio raccontare una storia, fatti, accadimenti. Scelgo la poesia quando il linguaggio aspira a trasmettere un'emozione, un momento ben circoscritto, intenso, cristallizzabile in poche sillabe


E VENNE IL TEMPO
con 7 disegni di Maimuna Feroze-Na
( Edizioni "Alla Pasticceria del Pesce", Claudio Granaroli, 2010)




RICOSTRUZIONE DEL TEMPO VIOLATO
 
Ricostruzione del tempo violato.
Ricostruzione del Tempio violato
se il corpo è casa dell’anima
e crolla contorto
tra mani inguainate.
E rifare non è ricostruire:
ciò che è perso lo è per sempre.
Un succedaneo di carne e sangue
- plastica grammi 350 –
appaga il narcisismo estraneo
non cura il legittimo rimpianto.
Suture uniscono i lembi
- ferite che si rimarginano
cicatrici vanno sbiadendo –
certo non evitano la perdita costante
il lento gocciolio
di pensieri liquefatti
da poche cellule impazzite.




ARDERE SPARGENDO
( Edizioni Pulcinoelefante, 2003)



ardere spargendo
le ceneri dei giorni
non ancora avuti
e poi sentire
che tutto torna (quasi una condanna
che sempre occorre tempo
chiedendo di accettare



HIC ET NUNC
( Edizioni Pulcinoelefante, 2001)
All'interno un'opera dell'autrice   

Il tempo
è la mia croce:
un mare
e non sapere nuotare 




ORIENTE
( edizioni Pulcinoelefante, 2004)


per Ariel

Polena
del tempo le vele
spiegate in un mattino terso
conduci al sole.



FROM MOGADOR
(Dialogolibri, 2008)
edizione in 300 copie numerate a mano


Recensione di MARIELLA DE SANTIS (da LA MOSCA di Milano, n.19 - dicembre 2008)

La copertina di questa agile plaquette di haiku, è gialla come la luce meridiana che vince ogni intenzione di movimento nelle ore più calde del giorno, nei paesi del sud. E intorno alla luce sembra aver girato la parola poetica di Alina Rizzi, nel cercare di dire attraverso la forma dell’haiku solo l’indispensabile, di ritorno da un viaggio nel sole alla ricerca della propria luce interna, riparata dalla propria ombra in un gioco di opacità, bagliore e trasparenza: “Attendimi qui/luce del mio Sahara/tornerò viva”. Promessa e richiesta al contempo si ritrovano frequentemente nei versi di from Mogador, articolati nell’esilità dell’haiku che diventano piccoli granelli di sabbia sorprendentemente sparsi sul pavimento di casa, una volta disfatto il bagaglio. Alina Rizzi è autrice generosa, che affronta tematiche scottanti senza imbarazzi né compiacimenti e anche con questa piccola, luminosa pubblicazione, ci porta dentro un suo viaggio di esperienza e conoscenza nel quale molte donne possono ritrovarsi: “Quarant’anni/vita dopo vita ici/ ça recommence”. Mogador è l’estraneità con cui divenire familiari:”Mogador mente/abbaglio di luce/ so attendere/”; il cambiamento da accogliere: “Dipingere a/mente colori che si/ cancelleranno”, i sensi risvegliati: “Grida gabbiano/come noi nell’amore/qui ti ritrovo” e il progetto di sé che sa ricominciare: “Rosso ricamo/ un filo strappato/mi restituisce”. Leggere la plaquette di seguito, nell’ordine definito dall’autrice dà un senso di narrazione all’opera pur nel singulto ritmico del verso che permette visioni e libertà proprie della poesia, ma gli haiku hanno quale loro caratteristica proprio quella di poter essere ricordati e conservati come piccole illuminazioni nel buio. E questi di Alina Rizzi possono illuminare momenti del nostro quotidiano con la luce e le promesse del deserto che l’autrice ha saputo trasformare in dono. Questa opera conferma la cifra personale di quest’autrice e animatrice di iniziative culturali spessissimo con risvolti solidali, ma soprattutto, si inserisce in un lavoro di scrittura costante, paziente che merita d’essere ulteriormente conosciuto.

Recensione di MANRICO ZOLI (dalla rivista Dialogo, luglio 2008)
Di Alina, da diversi anni amica di Dialogo, ci sarebbe molto da dire e ci riserveremo in altra sede di approfondirne le qualità: la forte personalità, le molteplici attività di scrittrice di romanzi, di saggi e di guide pratiche e, in quanto animatrice di laboratori ed eventi , la lodevole e ferma volontà di riscatto di un energico coté femminile spesso trascurato e a volte volutamente osteggiato. Per ora, in questa pagina dedicata alle recensioni, ci limitiamo all’ambito poesia e quindi non possiamo non citare e consigliare ai nostri lettori le precedenti raccolte di versi di Alina edite da Lietocolle, Pulcinoelefante e per Dialogolibri “Il frutto sillabato”. L’etichetta di scrittrice erotica , dopo il fortunato romanzo “Amare Leon” da cui Tinto Brass ha preso spunto per un film, risulta troppo riduttiva rispetto agli interessi molteplici dell’autrice. La Rizzi , dopo un proficuo percorso di maturazione, è giunta a un concetto di amore molto più complesso, dove la carnalità ed il desiderio non si esauriscono in ambiti materiali, ma rispecchiano quel conflitto dell’animo umano esistente, e Saffo ne è la prima e lontana testimone, tra corporeità e desiderio di andare oltre, istanza che vede la poesia quale mezzo espressivo il più congeniale, non per sciogliere il contrasto ma per nobilitarlo letterariamente. In “From Mogador” l’autrice riporta le forti sensazioni vissute durante un viaggio e si serve di un genere poetico l’haiku forse , non ne siamo certi, anche perchè in Marocco vi sono importanti scuole in cui si insegnano le tecniche per comporre poesia servendosi di questa antica e nobile forma espressiva, creata in Giappone nel secolo XVII. L’haiku ha per soggetto scene sintetiche ed intense che si ispirano alla natura e alle emozioni che nascono istantanee nell’animo degli autori. Nelle composizioni di Alina è presente il paesaggio di Mogador ossia dell’attuale Essaouira:
“Vento che sfida/bianca questa città/un vivo rifugio” “Sopra gli scogli/bastioni sentinella/del tempo nostro” e nell’efficacia di certi versi non possiamo tralasciare di andare col pensiero al grande regista Orson Welles che, a sua volta affascinato dal paesaggio di Mogador, ne fece il set per il suo capolavoro Othello in cui la macchina da presa indugia con insistenza lungo le mura caratterizzate da un biancore abbacinante esaltato ulteriormente dalla scelta del bianco e nero. “Fiero abbaglio/candida cittadella/aprimi ancora” Ma la forte personalità di Alina non poteva limitarsi alla sola descrizione del paesaggio ed infatti irrompono i sentimenti forti, una certa carnalità, una sorta di amore al femminile: ”Grida gabbiano/come noi nell’amore/qui ti ritrovo” “Ti desidero/arabeschi fioriti/ per le tue mani   "Chiuse nel vento/ora prendimi le mani/circonferenze”  Ed infine l’elevarsi del tono poetico che rende il senso della solitudine, della finitezza umana di fronte ai grandi spazi dai quali coraggiosamente rinasce una speranza mai sopita: Percorro voci/la tua oltre catene/non solo sabbia” “Quarant’anni /vita dopo vita ici/ ça recommence" Per riagganciarci al discorso introduttivo, anche i versi della Rizzi ricchi di suggestioni e di immagini istantanee, lasciano molti spazi alla fantasia ricettiva dei lettori , di quei lettori che cercano proprio nella poesia la possibilità di completare di persona e di arricchire ciò che i poeti danno come spunto e punto di partenza.


Nessun commento:

Posta un commento