“ Si scrive ciò che si sente e si vive. Si scrive con tutto il proprio essere. E’ la sola maniera di essere onesti, di essere se stessi”.

Ivy Compton-Burnett

ANTOLOGIE A CURA DI ALINA RIZZI


ANTOLOGIE A CURA DI ALINA RIZZI



DONNE DI PAROLA
(Traven Books, Laives, Giugno 2005)
a cura di Alina Rizzi



Introduzione di Alina Rizzi

“Una donna che scrive sente troppo,
che prodigi e portenti!”
Anne Sexton, da “Magia Nera

Da dove viene la poesia? Ed è veramente possibile condividerla? Sono domande a cui ogni scrittore potrebbe dare risposte diverse ed egualmente valide. Per tutti, però, la poesia è il frutto di un’esigenza intima e profonda, irrinunciabile come il respiro. Perché scrivere è guardare, guardare con occhi svelati e attenti, guardare attorno ma anche all’interno, con coraggio e a volte severità. Scrivere è attraversare lo specchio del tempo, ripercorrere i giorni – il passato, il presente, il futuro immaginato – con appassionata dedizione.
Nella poesia non ci si risparmia, la poesia non è consolatoria. Eppure, qualche volta, ha l’effetto di una liberazione: epura i pensieri, i dubbi, le incoerenze, dandogli un ritmo e un suono accattivante e significativo. La poesia, nel suo moto inarrestabile di onda che viene e si ritrae, che svela e nasconde, che dona e odombra, offre la possibilità preziosa di attraversare le emozioni, qualunque emozione, senza venirne travolti, e di volgere in musica quell’intenso naufragare. Così che la realtà, quand’anche scomoda e difficile, trova cittadinanza e obliqua, come ci insegna Emily Dickinson, traspare dal foglio bianco, in quel caldo fluire che intreccia la parole all’esperienza, il ritmico battito dei versi al solitario pulsare delle lunghe notti bianche. Ecco, forse la poesia è questo la maggior parte delle volte: un dialogo intimo, come quello tra due amiche che si confidano la quotidiana fatica del proprio sentire.
Per questa ragione, da molto tempo, coltivavo il progetto ambizioso di riunire in un’antologia come in un salotto, alcune delle poetesse più significative del panorama italiano. Dove significativo ovviamente non vuole essere un giudizio di merito (deputato ad altri e in altre sedi), ma il risultato di una scelta programmatica di scrittura, portata avanti negli anni da ciascuna autrice, non soltanto attraverso la propria produzione personale, ma anche tramite l’organizzazione di dibattiti, seminari, occasioni d’incontro varie legate alla scrittura delle donne e non solo. Dunque una scelta a tutto tondo, fondamentale direi, dalla cui posizione fosse possibile offrire una testimonianza forte e concreta, sviluppando un tema che potrebbe essere sintetizzato in due famosi versi della poetessa americana Anne Sexton: “Una donna che scrive sente troppo,/ che prodigi e portenti!” Ecco la scrittura femminile in una definizione minima e assoluta, la creatività femminile che si sostanzia generando parole e magia.
Ma questa è stata soltanto la proposta iniziale. La mia idea, accolta con entusiasmo dai tipi della TRAVEN BOOKS e poi dalle autrici che partecipano a questo volume, è subito germogliata in versi che offrono molteplici spunti di riflessione, occupando spazi forse non ancora sufficientemente esplorati, che riguardano non soltanto la scrittura ma anche la scelta che la precede. In pratica riflettendo l’esperienza personale – quotidiana, famigliare, storica - di artiste a volte molto lontane tra loro per età, stile, formazione e intenti, ma comunque accomunate da un progetto che, in tutte, appare essenziale.
In questo libro si trovano dunque molte poesie così dette di “poetica” e altre che “raccontano” la scrittura in altri termini o sotto aspetti più pratici e terragni. Non tutte le poetesse interpellate, infatti, condividevano la necessità di narrare la propria opera e la sua genesi, né il desiderio e l’interesse per un antico – e secondo alcune inesistente- distinguo tra scrittura femminile e maschile. Se ad alcune è apparso un tema superato, però, ad altre è risultato entusiasmante e di sicura attualità. Come regolarsi di conseguenza? In modo molto semplice e chiaro: accettando che ognuna proponesse la propria personalissima testimonianza, la propria diversità, la propria visione del tema. Per tale ragione alcune delle poesie qui presentate possono apparire meno sintoniche di altre: in realtà i versi di Anne Sexton posti in esergo sono stati interpretati in modo diverso e vario, ma sempre molto convinto.
Infine, appare superfluo ma doveroso ricordare che, come ogni antologia, anche questa peccherà di esclusioni e dimenticanze più o meno evidenti, che purtroppo però costituiscono l’inevitabile limite di questo genere di volumi. Ci si augura che offrendo un discreto ventaglio di autrici contemporanee, il lettore sia stimolato ad approfondire poi per proprio conto la ricerca, consultando i cataloghi e i siti delle case editrici specializzate o le riviste del settore. “Donne di parola” non può essere quindi considerato un elenco esaustivo – è oggettivamente impossibile - ma sicuramente un punto di partenza consolidato dal quale diramare l’attenzione verso nuove e appassionanti letture.

presentazione dell'Antologia a Rapallo, marzo 2006


recensione di Luigi Cannillo

La Mosca di Milano, N° 16 - maggio 2007

Donne di Parola
- Trentadue poetesse contemporanee, Traven books, 2005 -
a cura di Alina Rizzi

L'antologizzazione della poesia femminile è una proposta editoriale ormai frequente. Ma, grazie alle trentadue autrici, liberamente riunite per generazioni e stili di riferimento, qui viene raggiunto l'obiettivo di esemplificare le diverse espressioni senza cadere nel rischio di interpretare la scrittura e la differenza di genere in modo restrittivo. La curatrice Alina Rizzi ricorda nella nota introduttiva che alcune poetesse hanno sottolineato tale differenza come fondamentale nella propria opera, mentre altre si sono riferite a una esperienza più soggettiva. Al “salotto” dell'antologia partecipano autrici sia impegnate nella produzione poetica che in attività organizzative, a favorire l'incontro, lo scambio di esperienze. Tutte comunque accomunate dalla ricerca creativa, dall'attenzione verso la parola. Rappresentanti di poetiche diverse, da Antonella Anedda a Maria Pia Quintavalla, da Jolanda Insana alle compiante Paola Malavasi e Carmen Gregotti, da Maria Luisa Spaziani a Alda Merini, sono tutte “donne di parola”, vivono la scrittura come compito etico, attività maieutica, oltre che testimonianza del proprio vissuto. Tramandano il dono della parola. Al centro della percezione e dell'esperienza è il corpo, energia evocativa in Gabriela Fantato, potenza arcaica in Anna Maria Farabbi. Attraverso il corpo si realizza anche un filo costante di memoria, la scansione del tempo nelle diverse stagioni della vita e nel vissuto quotidiano, come in Lucetta Frisa e, dall'altro lato, la percezione dell'enigma sotteso all'esistere e al mistero della vita, sia attraverso l'osservazione realistica o naturalistica, nei versi di Annalisa Manstretta, che con visionarietà trasognata, nel testo di Dacia Maraini, o nel “mondo incantato” di Gabriella Sica.. In altre poetesse è il sentimento al centro del testo, la riscoperta amorosa. «Tutta la vita ho obbedito a voi, sentimenti», afferma Annelisa Alleva. Le scelte stilistiche sono eterogenee, dall'acrostico ricco di parole d'ordine di Mariella Bettarini, ai versi rarefatti di Elisa Biagini, dalla poesia prosastica di Alba Donati ai frammenti di Carmen Gregotti, con l'apporto significativo della scrittura di ricerca di Jolanda Insana e Rosaria Lo Russo. Tutte le scelte convergono verso il peso specifico della parola, ricercandone l'origine nel pensiero, e il suo valore di testimonianza civile come in Antonietta Dell'Arte. Non senza difficoltà e tensioni, perché il dire è frutto di pazienza e ricerca, quando si fa scrittura. «Sono più viva su questa carta/ che non nella vita”, scrive Giovanna Frene. L'esperienza all'origine della poesia raccoglie le parole del femminile e, cosi impaginata, sottolinea le preziose diversità all'interno del genere.
Luigi Cannillo

Presentazione dell'antologia a Bolzano. Con Quintavalla, Lo Russo, Rossi.


Autrici Varie
DONNE DI PAROLA

a cura di Alina Rizzi
Travenbooks, Bolzano, 2005.

 (dalla rivista LEGGEREDONNA - dicembre 2005)

testo di Serena Scionti

       Parole di donne, quelle di trentadue poetesse contemporanee accolte nell'antologia edita da Travenbooks, a cura di Alina Rizzi. Solo donne: l'uomo, "signore sconosciuto" (Maraini), cui "si commuove il glande" (Lo Russo), è ironicamente citato quando gli si fa affermare, rispetto al mondo femminile, "tanto è tonta e -carne al vento- secondo lor Signori" (Bettarini). Non lo sono certo, “tonte”, queste donne che, pur amando, non rinunciano al "dono di sé" della scrittura: "se non riesco a scrivere / se non posso più scrivere / perché mi sono persa / in te / un giorno fuggirò sia pure in lagrime ... ma se non scrivo ti preoccupi" (Bisutti); "così per amor suo, io cambierò stile / e per lui terrò in serbo cose chiare" (Frabotta); "quando scrivo / chino il capo nella polvere / e anelo il vento, il sole / e la mia pelle di donna /contro la pelle di un uomo" (Merini).
      Libere dal bisogno di presenzialismo letterario tipicamente maschile, -"lei vi dirà che non verrà, che non parteciperà / a nessuna lettura, che non interverrà a nessun dibattito" (Alba Donati)- le donne che scrivono in questo testo preziosamente allestito da Alina Rizzi, lo fanno per sé stesse, per le amiche, per le madri e le figlie, per le donne di ieri e di oggi, per Sabine violata da Dutroux (Alleva), per Gianna, per Leyla, (Fantato), per Nelida Milani ("siamo ormai donne -Nelida -/ ognuna ha una sua storia / relazioni" Gabriella Musetti). Scrivono "per la pietà del buio / per ogni creatura che indietreggia / con la schiena premuta a una ringhiera" (Anedda). Ripercorrono la storia delle donne, scandita dai non e dalle privazioni (... non parlavamo ... venivamo assommate alle bestie -alla carne- alla sola materia / e non al pensiero... epifanie del nero-le private del vero- ...eravamo silenziate... ammesse solo se angelicate... a Oriente ci impongono silenzio e velo / e l'Occidente ci denuda e ci mostra come carne" Bettarini).
      Donne di carne, di materia, cantano le matrici ("ma nell'ombelico profondo / mia madre canta" Farabbi; "farò della parentesi / una madre-materna per il mio / ventre" Frene) e l'atto del generare ("accovacciata a far nascere / far nascere / e non morire mai" Frisa), atavico gesto assimilato al parto della scrittura. E' la carne, il corpo, che fa nascere la parola, è " il mio corpo che porta in bocca / la lingua." Farabbi).
      Talora donna di dolori (Patrizia Valduga), la donna che crea parole scritte lo fa all'insegna della sorellanza fra donne di famiglia, di generazione in generazione: "questo nostro ritornare lentamente sale acqua farina / attraversando ad occhi aperti la propria madre / fino alla bocca sdentata / della nonna grassa e scalza" (Farabbi).
      La Rizzi, assemblando quest'antologia ha espresso l'intento di raccontare le poetesse di oggi incentrandosi propriamente sul tema del raccontarsi tramite la peculiarità del verso. Versicoli, versi lunghi, prosa poetica, acrostici. Le biobibliografie in appendice contribuiscono a renderci sim-patiche queste donne, ad inverare i loro versi in vite professionalmente dedite alla cultura. Alina, scrittrice, curatrice del sito www.segniesensi.it, conoscitrice del mondo letterario al femminile contemporaneo e del passato, le ha coinvolte chiedendo di scrivere dello scrivere. "Una donna che scrive sente troppo, che prodigi, che portenti!" recita Anne Sexton nell'esergo dell'antologia: il sentire, è connaturato alla scrittura femminile; è un sentimento non astrattamente effusivo, bensì ancorato a oggetti o situazioni contingenti: "Tutta la vita ho obbedito a voi, sentimenti" (Alleva); "date tregua, / o sensi, al mio intelletto (Frene). Quale uomo sa che c'è il ciclo del bianco, del colorato, del bucato forte, del leggero...? Ogni poetessa lo sa, come la Magazzeni in Eternità del cestino da bucato o la Manstretta, che dimentica "le camicie / ormai asciutte, nel cestello della lavatrice, / quando lascio le penne / sparse nei cassetti" . La vita delle donne (Bettarini) è quotidiana, si muove tra "sacchetti colmi della spesa, giardinetti" (Alleva) all'interno della casa, "narcotico / del giorno e della notte / casa dolcissima" (Frisa).
      Ma oggetti e pareti non precludono epifanie, e lo spazio si dilata: "è scesa la notte di una domenica notte / di un tavolo con la tovaglia cerata" (Anedda); "un lampo batte sui bambini addormentati / sul tavolo sgombro e pulito" (Anedda). Nel silenzio, rigovernata la cucina, si apre la fucina. "Se ho scritto è per pensiero / perché ero in pensiero per la vita" (Anedda). Le parole allora diventano "i punti e le virgole che noi aggiungiamo al reale" (Bisutti); vivificano, accendono, spalancano all'interiorità, "levatrici di mondi segreti" (Santoro). "Parola terrestre" (Quintavalla), "impasta i giorni e la carne /le parole nei canti"(Rizzi), mischiandosi al cibo e alle amiche (Sica). Appello, rivolta, preghiera, affermazione e valorizzazione di una ricchezza che non si esaurisce tra i fornelli unti: "ho voglia di sbraitar cantando / perché l'ultima parola non è detta" (Insana). Parole "ingombranti" (Lamarque) o addirittura non dette -accetto la lingua senza parole" Malavasi- ma espressive anche in absentia, si rarefanno fino al silenzio - "lo sguardo assorto / sulle pagine mai scritte / sulle preghiere mai pronunciate" (Monreale); "un verso è un dio che si presenta, trema / ai tuoi vetri, ha freddo, non trova le parole . / E qualche volta muore per la bianca / paura di non nascere". Le parole servono talvolta a cantare gli scacchi, il disincanto: "stanche / le parole / parlano di niente" (Gregotti), sono "relitto" o "sdrucciole" (Maria Luisa Spaziani).
      Su questo silenzio della parole irrompe allora la poesia, parola nuova, che "è essenzialmente coraggio di non rompere il silenzio" (Bisutti). Senza pretese - "io che poeta non sono" dice la Landolfi- ma compos sui, questa poesia disdegna i "chiari di luna" , né futurista né passatista, ma tutta volta al presente -"è quindi venuto il momento / di cantare un'esequie al passato" (Merini)"-, ed al mistero che esso può racchiudere: le più belle poesie / si scrivono sopra le pietre / coi ginocchi piegati / e le menti aguzzate dal mistero". La poesia pur cantando anche la trita quotidianità se ne solleva, la guarda autoironica, va "a passeggio con sandali indiani", perche' "nei mocassini bassi e usurati / che porto tutti i giorni / la poesia non si lascia condurre. / Mi aspetta a casa, quando... mi disfo del mondo / poggiando i piedi su ciabatte che sanno / a memoria l'impronta dei miei passi / e sempre ripetono la stessa canzone: / benvenuta nella tua lingua" (Magazzeni). La poesia torna a casa, ma ha viaggiato coi piedi del mondo, nel mare simbolo amniotico del farsi donna: "l'attesa marina -senza grido- infinita" (Anedda) perpetua l'attesa della vita, di là dalla finitudine carnale. Speranza di orizzonti più vasti, il mare è emblema dell'abisso interiore -"presenti forse che il mio mare,/ in apparenza liscio, ha cavalloni / che corrono a schiantarsi sugli abissi?" (Bisutti).
      Anelare al mare rammenta che "ogni goccia / ti battezza / alla vita cartacea" (Biagini), e la scrittura è esigenza vitale, spirituale, quale montagna che sfida il cielo "la montagna è scrittura, è azione, è un'aggressione continua al cielo" (Bisutti). Scrittura come spirito che soffia dove vuole -"ora scrivo / un libro respirante /senza punteggiatura in una lingua universale" (Rizzi). E' volo, verso l'andare ma anche verso il ritorno al nido. Volare, infine, alle radici materne, "all'origine del volo. / Che è il nido" (Farabbi).
      Il florilegio delle donne di parola mantiene la promessa di offrire una vibrante lettura della dimensione esperienziale femminile e di iniziare alla sacralità del ricominciamento quotidiano, alla gioia segreta dello scrivere femminile: “quando allora le parole, la scrittura, la poesia / ti danno l'impressione di volare, si rivelano a te / come l'essenza più bella / più vera più affidabile / e più felice della tua esistenza" (Niccolai).



DONNE DI PAROLA

(dal sito www.travenbooks.it)

testo di Liliana Porro Andriuoli 
Dell'esistenza di una poesia al femminile si è a lungo discusso in sede critica. Vi è chi la sostiene, sulla base di una particolare sensibilità che sarebbe propria delle donne, di un loro maggiore contatto con la realtà e di una loro più naturale attitudine all'autoanalisi. Vi è invece chi nega tutto ciò, affermando che la poesia è unica e quello che la distingue non è il sesso, bensì la personalità intrinseca di ciascun autore.
Alina Rizzi, curatrice di questa nuova antologia Donne di parola, ha sposato la prima delle due tesi, dandoci un florilegio di trentadue poetesse contemporanee, da lei ritenute tra le più “significative del panorama italiano”. Con il titolo Donne di parola ha voluto infatti evidenziare il legame di queste poetesse con la “parola”, non solo nel senso di “parola detta” o “scritta”, ma anche, e soprattutto, nel senso di “parola data”, cioè di fedeltà ad una scelta fatta e portata avanti con impegno. Si tratta, ovviamente, ella precisa, della “scelta programmatica dello scrivere”, che è una scelta di vita per tutte le trentadue autrici, come d'altra parte è apertamente dichiarato in molti testi qui antologizzati. Vediamone qualcuno.
Cominciamo da Alina Rizzi , l'ideatrice della raccolta. Se prendiamo in esame la prima delle sue cinque poesie qui riportate (cinque sono i testi antologizzati per ognuna delle trentadue autrici presenti) troviamo che i versi della chiusa suonano come una scelta stilistica di grande impegno, una vera e propria dichiarazione di poetica: “pagina uno. Ora scrivo / un libro respirante / senza punteggiatura / in lingua universale” ( Baby-blues, 1 ).
Eppure alla punteggiatura in un componimento poetico non tutte le poetesse sono d'accordo a rinunciare. Anna Maria Farabbi , ad esempio, nel testo da lei presentato definisce la punteggiatura “un respiro scritto di durata e intensità / voluta” e le conferisce una fortissima valenza psicologica: il metter un “punto” e andare “a capo” si ricollega infatti per lei al “tornare” “all'origine del volo”, vale a dire al ritorno al “nido” (p. 53).
Antonella Anedda si pone invece il problema del perché si scriva; un problema che assume vitale importanza per l'Anedda, dal momento che, nel primo testo con cui è presente, il verbo “scrivere” si ripete quasi ossessivamente, rivelando come, quella di esprimersi, sia nel suo caso un'esigenza insopprimibile. Al quesito del “perché” si scriva, ella risponde a livello personale e autobiografico, dicendo: “Se ho scritto è per pensiero / perché ero in pensiero per la vita / per gli esseri felici / stretti nell'ombra della sera / per la sera che di colpo crollava sulle nuche”.
E ancora, Donatella Bisutti , nel testo iniziale di quelli qui presentati (si tratta di tre brevi prose e due poesie), riflette sull'atto stesso dello scrivere, paragonando colui che scrive a un “funambolo”: “Quando uno si guarda scrivere”, ella dice, “è un funambolo sul filo che smette di guardare il filo e si ricorda del vuoto: è in questo momento che viene preso da vertigine e cade” ( Il funambolo ). Per la Bisutti è dunque fondamentale che quando uno scrive si sappia abbandonare completamente al ritmo interno e si lasci condurre dall'ispirazione senza distrarsi. Soprattutto è importante che non rifletta troppo sull'atto dello scrivere in sé, in quanto ciò lo priverebbe di quella spontaneità e di quella immediatezza, che sono qualità essenziali per un poeta.
In una tale ottica diventa “quasi facile fare una poesia”: è il parere di Vivian Lamarque, la quale così conclude il suo primo testo riportato: “è come / per la terra fare un filo d'erba / una margherita” ( E' quasi facile fare una poesia ). Forse ciò non è vero in generale, perché in ogni creazione poetica, come d'altra parte in qualunque specie di creazione artistica, al momento dell'ispirazione fa subito seguito quello della realizzazione dell'opera, che, come sappiamo, comporta sempre fatica e, talvolta, anche sofferenza, come ci ricorda molto bene Alda Merini nei versi dell'incipit delle prima poesia da lei presentata: “Le più belle poesie / si scrivono sopra le pietre / coi ginocchi piegati / e le menti aguzzate dal mistero”.
Ed il mistero della poesia, nella magia del suo nascere, è appunto ciò che vuole esprimere Maria Luisa Spaziani nel suo testo, evocativamente intitolato Un verso , dove leggiamo: “Un verso è un re, che con la cortesia / dei re giunge puntuale a ogni convegno. / … // Un verso è un dio che si presenta, trema / ai tuoi vetri, ha freddo, non trova le parole. / E qualche volta muore per la bianca / paura di non nascere”.
Molti infatti sono, nell'esperienza di un poeta, i versi a cui tocca la sorte di morire prima di nascere: stava per capitare anche a L'ultimo verso di Biancamaria Frabotta , il quale fortunatamente è riuscito a sopravvivere, grazie a un genitore che l'ha adottato: “Per non lasciarlo morire davvero / e insepolto, quell'ultimo verso / lo adottò, quell'inutile eroe” ( L'ultimo verso ), dice con ironia la poetessa.
Carmen Gregotti poi leva la sua voce per rispondere alla domanda “Che cos'è la poesia?” (p.74). La sua risposta è: “Un'inserzione / l'impaginazione della vita”, volendo con ciò significare come sia sempre la vita che il poeta cattura e inserisce nella pagina scritta. Un calzante esempio in tal senso ci è offerto da Giovanna Frene , la quale proprio nella pagina scritta giunge a riconoscersi più viva e reale che mai. Nei versi conclusivi di Petrarchesca afferma infatti: “Sono più viva su questa carta / che non nella vita”.
Il legame tra “poesia” e “vita” è pertanto fondamentale per le nostre trentadue “donne di parola”. Lo è per Idolina Landolfi , che ad esempio dice: “Io che non sono poeta / mi son fatta poeta per te / piccola gota paffuta” (p. 86), evidenziando come la realtà esterna, intensamente vissuta, possa fornire una provvida occasione di canto. Per Antonietta Anedda poi la “parola” poetica può essere addirittura più reale della stessa realtà: “Scrivi perché nulla è difeso e la parola bosco / trema più fragile del bosco, senza rami né uccelli” (p. 19); e Vivian Lamarque sa renderci concreto un momento di vita, vissuto unicamente con la fantasia. E' quanto avviene nella sua Poesia illegittima , nella quale la poetessa, in modo brillante ed ironico, fa allusione ad un “mentale” rapporto amoroso, da cui nacque, pur se illegittimamente, questa poesia: “Quella sera che ho fatto l'amore / mentale con te / non sono stata prudente dopo un po' mi si è gonfiata la mente / sappi che due notti fa / con dolorose doglie / mi è nata una poesia illegittimamente”.
A sua volta Anna Santoro mette in evidenza come la rappresentazione in versi della realtà non sia mai fedele, perché, sappiamo tutti che: “le parole sono convenzioni / e l'arte una finzione” (V). Pur tuttavia, egualmente, una poesia può, talora, essere capace di inverare ciò che nomina: “Nel nominarlo la poesia l'ha inverato” (III) leggiamo infatti in un altro suo testo qui proposto. Ed è questa una magia che soltanto la poesia può compiere.
La suggestione della “parola” poetica affascina del resto molte poetesse dell'antologia: per Elisa Biagini , ad esempio, la “parola” è “una falena che si / sbatte di luce” (p. 39); la Spaziani , invece, nella sua Formula per un filtro , prospetta per la “parola” un susseguirsi di vivide e incalzanti immagini: da “mia parola relitto / di un cutter naufragato / vela che stracciò il vento”, dei versi dell'incipit, a “mio grido che s'inebria / d'ingiurie e di malie / miei versi ardente cenere / di antiche profezie”, che troviamo in quelli della chiusa; e ancora Giulia Niccolai nel primo tempo delle sue Riflessioni ed esperienze ci offre una serie di “momenti” in cui “le parole , la scrittura , la poesia / ti danno l'impressione di volare, si rivelano a te / come l'essenza … / … della tua esistenza”.
Giulia Niccolai si occupa anche del rapporto fra il “poeta” e la sua opera, che deve essere basato sulla “coerenza” interiore. La “coerenza con sé stessi” è per lei infatti non solo un credo di vita, ma anche una scelta poetica. Non a caso nelle appena citate Riflessioni ed esperienze ella dice: “Meglio la coerenza con se stessi, la non-dicotomia (tra il poeta e la sua poesia)”, piuttosto che scrivere “dei versi / di successo, belli e non vissuti” ( Riflessioni ed esperienze , III).
L'aspetto terapeutico della poesia, anche se in modo marginale rispetto al contesto in cui è inserito, è messo in luce da Mariella Bettarini in uno dei suoi cinque acrostici, nei quali viene affrontato il problema della condizione femminile nella società di oggi. Un possibile “ausilio” per meglio superare la sua difficile situazione nel contesto sociale la donna, per la Bettarini , può trovarlo proprio nella scrittura: “… l'ausilio / E ' – può esser – la scrittura – questo dono (di sé) disciplinato – questa // L ucente disciplina donata a sé (da sé) ed aperta / A più venti…” ( Perché la scrittura ).
Queste sono alcune delle voci delle nostre trentadue “donne di parola”. Molte altre sarebbero meritevoli di attenzione, ma purtroppo, per la tirannia dello spazio, non ci è dato di occuparcene in questa sede. Vogliamo tuttavia a titolo esemplificativo accennare a qualche poetessa la quale non si è, come le precedenti, confrontata con la tematica dello scrivere in versi e con tutto ciò che essa comporta: Lucetta Frisa , ad esempio, che nei suoi autoritratti diurni e notturni , ci rivela alcuni tratti salienti della sua personalità di donna e di scrittrice: “… oh dammi / dolce casa mondi reali dammi / anima e malinconia virtuali, tu narcotico / del giorno e della notte / casa dolcissima"; Dacia Maraini , che ci offre in questa antologia una poesia d'ispirazione religiosa dai toni alti: “Amato Signore, / intravisto dietro una finestra. / Affido ai suoni di una città malata / le parole di una mia / sorpresa ammirazione” ( Poesia alla maniera di Suor Juana Inez de la Cruz ); Annalisa Manstretta , una delle poetesse dalla voce più squisitamente lirica di questo libro: “Come ti accolgono i paesi / in una calda luce e nel silenzio / coi marciapiedi assolati, / le file lunghe dei tigli” (p. 113); Patrizia Valduga , presente con l'inizio del monologo Donna di dolori (Mondadori, 1991) che, sotto un aspetto parodico, nasconde un vissuto estremamente sofferto: “Poi goccia a goccia misuro le ore. / Nel tutto buio, sotto il mio dolore, / più giù del buio della notte affondo”.
A conclusione di questo seppur rapido ed inevitabilmente lacunoso excursus, ci preme osservare come i testi delle trentadue poetesse che figurano in questa antologia siano tutti contraddistinti dalla nettezza del segno, che in talune di loro si fa più limpido e solare, dando luogo a poesie più comunicative e scandite su ritmi lievi e trasparenti, mentre in altre è maggiormente allusivo e problematico, dando luogo a poesie più assorte e introverse e dai toni più elaborati e complessi.
La scelta fatta da Alina Rizzi appare pertanto, a lettura terminata, molto convincente; compiuta con competenza e con sicuro gusto; sicché l'antologia che ne risulta può dirsi contribuisca in maniera efficace a far meglio conoscere delle poetesse sicuramente valide, attraverso un congruo numero dei loro testi.




DONNE DI PAROLA 

(dal sito www.travenbooks.it ) 

 testo di Anny Ballardini

Una nuova pubblicazione di interesse per coloro che gravitano nel campo delle belle lettere, Uscita nel giugno 2005 per i tipi di Traven books , una raccolta significativa di donne poete, scelte da Alina Rizzi. Se le imprese antologiche risultano altamente restrittive e provocano istintiva la giusta ed egualmente valida voce che sottolinea le inevitabili mancanze, d'altro lato offrono infiniti spunti per uno studio maggiormente approfondito degli autori inclusi. Rizzi stessa sente la notevole responsabilità nell'affrontare il volume e spiega il suo lavoro nell'introduzione con le seguenti parole: -Dunque una scelta a tutto tondo, fondamentale direi, dalla cui posizione fosse possibile offrire una testimonianza forte e concreta, sviluppando un tema che potrebbe essere sintetizzato in due famosi versi della poetessa americana Anne Sexton: “Una donna che scrive sente troppo,/ che prodigi e portenti!-
Non essendovi quindi un filo tematico, una posizione stilistica o politica, si abbraccia il nuovo testo come una finestra sulle voci poetiche femminili italiane, di cui alcune ben note, vedi Merini, Mariani e Valduga, non che un piacere leggere ulteriori versi, altre nuove, grati alla curatrice per farci incontrare tanta creatività espressiva, distinta e variegata nei numerosi modi possibili. Dove la poesia o le due o tre poesie scelte e presentate non saranno mai esaustive ma utili nel risvegliare la curiosità verso autrici meno conosciute che di certo sapranno svolgere i passi consueti alla luce di un'intuizione diversa per un arricchimento dell'essere volto a quella che sarà l'impossibile completezza.
Trentadue sono quindi le autrici scelte da Rizzi, rigorosamente in ordine alfabetico sull'indice principale, a seguire una breve biografia delle stesse. Annelisa Alleva, Antonella Anedda, Mariella Bettarini, Elisa Biagini, Donatella Bisutti, Antonietta Dell'Arte, Alba Donati, Gabriela Fantato, Anna Maria Farabbi, Biancamaria Frabotta, Giovanna Frene, Lucetta Frisa, Carmen Gretotti, Jolanda Insana, Vivian Lamarque, Idolina Landolfi, Rosaria Lo Russo, Loredana Magazzini, Paola Malavasi, Gabriella Maleti, Annalisa Manstretta, Dacia Maraini, Alda Merini, Daniela Monreale, Gabriella Musetti, Giulia Niccolai, Maria Pia Quintavalla, Alina Rizzi, Anna Santoro, Gabriella Sica, Maria Lisa Spaziani, Patrizia Valduga.
E benchè in Donna di dolori (Un monologo) di Patrizia Valduga si legga :
      (…)
     &nbspLa faccia della donna non si deve mai vedere
     &nbspCompletamente.

e la stessa copertina riporti una giovane donna di spalle nella foto di Davide Pivetti , noi qui scopriamo tantissime facce di donne, forse non quelle in carne ed ossa, ma di certo quelle più veritiere trasposte in immagini trasparenti. Con Maria Luisa Spaziani in Il sogno giusto :
     &nbspSe faccio un sogno, e poi
     &nbspMe ne nascono versi,
     &nbspquei versi sono il sogno
     &nbspche sognate con me.
      (…)
Vale citare la Sonettessa di Rosaria Lo Russo con il suo incantevole mix tra l'Ariosto e i Led Zeppelin per una certa coralità al femminile:
      (…)
     &nbspSe non ci si fosse messo di mezzo
     &nbspIl tormentone dell'amor cortese
     &nbspForse saremmo salve da un pezzo.
(…)
Dopamina, dopamina partena
Un modus vivendi amar in esilio
Dalle bimbe che fummo
Svagate e malmenate.
Dopamina, dopamina partena
(..)
Per concludere con un'ultima citazione voluta dallo scritto di Anna Maria Farabbi :
III
mentre guardavo le mani che ho creduto di creare
mi scomparivano le vene le linee le impronte gli uccelli
nella migrazione
pulita e poetica senza alcun segno di punteggiatura; uno tra i gioielli di questa antologia.

Anny Ballardini 



“DONNE DI PAROLA”,

(dalla rivista LEGGENDARIA - settembre 2005) 

testo di Maria Pia Quintavalla

Un libro, questo che si vuole, (essere) quasi sapienziale, oltre che un saggio, molto ben costruito, sulla poesia femminile contemporanea, e femminile, italiana.
Perché rischiare ancora un’antologia femminile, libro bifronte per eccellenza, quando i tempi, l’assenza di un serio dibattito critico, consiglierebbero l’attesa?
Forse per il consolidarsi, e mantenersi in fioritura, di un pensiero forte, una linea femminile forte nella poesia contemporanea italiana, ben vulgata dagli iniziali anni sessanta in avanti.
Gioverà ricordare che, nella difficile accensione di un dibattito e aggiornamento del canone, l’ultimo ormai fisso agli anni settanta, dell’emblematico manifesto-antologia de La parola innamorata, le donne stavano, sempre, da un’altra parte.
Salvo la serissima “Poesia degli anni settanta”, di Siciliano e Porta.
Per cui, in quegli stessi anni, fiorirono le antologie femminili e femministe, oggetto poi di facili polemiche.
Contestazioni che non tenevano in nessun conto, ahimé della triste realtà civile, ( o incivile, come ricorderà Pasolini) della società italiana, abituata ad ammantare di significato universale ogni discorso, o fondamento teorico, in decollo dal proprio particulare, più ostentato.
Ma, riprendendo il fine di questa bella , godibile, e ottima per scelte, antologia, la si vuole poi figlia dell’idea dei readings, di un ritorno, almeno virtuale, all’oralità della parola, in poesia.
Difatti Alina Rizzi, che ne è la curatrice, si pregia di svelare il personale desiderio di riunire in consesso od in salotto, le trentadue autrici qui convocate, col valore aggiunto della funzione intellettuale che i salotti hanno sempre avuto, di ispirazione femminile, propulsori di cultura e di relazioni, fenomeno dal sei settecento, in Europa, molto trainante.
Una funzione di relazione, del relazionarsi, che la mente delle donne sa ben articolare e portare avanti.
E di un reading virtuale, dicevamo, anche per la difficoltà oggettiva, a riconvocare i grandiosi festivals di quegli anni, oggi.;( molte collettività letterarie riunite, potrebbero in realtà esorcizzare lo spettro di quell’altra, artefatta e interiorizzata, dell’impero, globale, odierno ), di cui “Donne in poesia” ed altri festivals analoghi, tramite omonime antologie, legate all’evento, avevano propagato.
Insomma, la scommessa di far rivivere, venti o trent’anni dopo, l’opportunità di vedere- udire, riunite insieme, trenta ed oltre autrici di ottima levatura, nel tempo diacronico- sincronico delle generazioni, dialoganti. Una mappa preziosa, eppure, ogni volta: un evento vivente quasi oracolare, e poco accademico.
Se di un ritorno agli anni settanta come spirito, si può pensare, lo è soltanto perché fu gioco interrotto, sospeso. Nelle sue pluralità di fonti, come autorevolezza.
Nasce da qui, da quei bisogni, legittimi e sospesi, la teatralità dell’evento che tante voci di donne scrittrici, da proprie segrete stanze di scrittura, sembra, a tratti ridipingersi coro. Sommerso, plurale ma potente, da un lontano- vicino che punge, ferisce l’aria.
Lo si creda o no, “obliqua” o sovversiva, moderna e classica, tale parola femminile, a seconda delle madri o sorelle interpellate, diversissime nel percorso, disegna una ricchezza di significazione, e di libertà, che fa riflettere, e regna sovrana.
Tentiamo di chiamarla: linea forte di pensiero, linea femminile poetica del pensiero, della nascita o della differenza, della conciliazione o di preghiera; esso non ne muta la intensità intenzionale, di destino, così come nella filosofia del ‘900, si è mostrata e continua, intersecandosi.
Sorella ad altre stellarità filosofiche di pensiero del recente secolo.
Alcuni testimonials orami classici della tradizione del moderno, sono chiamati fin dall’inizio dalla curatrice. Dall’italiano Leopardi a Rimbaud, ( perché anche se femminile - io è un’altra - certo).
Poi, le più attese: Emily Dickinson, fino all’emblematica, per la Rizzi, Anne Sexton, profeta negli anni sessanta di certa “confessionale” area femminile, (madre, tra le altre della futura “autocoscienza” delle stesse), nonché precursora di tante tematiche femministe, allora storicamente inedite e blasfeme, dalla centralità del corpo femminile alla sua sessualità, slegata da ogni fondamento di patto sociale tra i sessi, quasi ridivinazzata, che sembra rivivere molto nella produzione recente di più giovani autrici, oggi.
Queste donne, e quelle donne di allora evocate, che “sentono troppo”, testimoni dell’eccesso, dello spendersi di un’energia vitale femminile, ancora selvaggia e non cristianizzata, sembrano la musa, ispiratrice dell’antologia.
Muse che giungono, dal lontano-vicino della generazione della libertà femminile, dalle sue prime manifestazioni di un pensiero uscito allo scoperto (per poi rimuoversi, sparire, riapparire), dagli anni sessanta, in avanti
Nel pensare se stesse anche oggi, in un’indomata resistenza al presente, a lato di certo “pensiero debole” dei coetanei, dediti spesso ad un tardo minimalismo di maniera, divenuto quasi canone negli anni ottanta . Donne riconoscibili, perché disappartenenti, non allineate, che hanno saputo e voluto divenire, nella maturità, semplicemente se stesse; dopo il tempo speso nella auto individuazione giovanile, nella riscoperta di linee genealogiche materne, e paterne, interiorizzate.
Da una virtuale società di “ estraneità e singolarità” pensata da Virginia Woolf, ad una incombente e quotidianità di convivenza, ricreata , resa vivibile nella storia, per questo oggi, più signore del gioco. Della propria lingua poetica, e a volte, della propria esistenza.
D’altra parte, come si confessa la Rizzi, non potendo più porre le domande estreme, ( se si possa ancora “condividerla”, la scrittura, oggi ) nel segno di un’oscuro e utopico cielo, oggi eclissato e silente, la Nostra si contenta di chiedere a ciascuna di pronunciarsi, a partire da una posizione riconoscibile : quella dell’attribuire la genesi della personale poetica, farne perno che sostiene e traversa tutto. Qui, in veste di autorità, e pensiero rinnovati.
Che per una ricognizione storicizzante, o semplice inchiesta, come le antologie devono essere, vale bene la previsione.
Lo specchio della scrittura è anche il suo orecchio, il suo sapersi riascoltare a distanza, si dice nella introduzione. Che resta un auspicio forte, posto a esergo dell’antologia.
Lo si ritrova, in effetti, nelle splendide meditazioni di tante, da una sapienziale Giulia Nicolai della maturità, pronta a riconsacrare la congiunzione tra arte e vita, a favore della vita (ammirata dalla più giovane Alba Donati), alla scelta di mantenere aperta una delicata risolutezza fra dilemmi oppositivi del pensiero (ad esempio tra uomini e donne ), in Bianca Maria Frabotta, alla passionale, rilanciata fede nella classicità, della grande Alda Merini, a quella più tradizionale, di Maria Luisa Spaziani, alla visionarietà algida e nera, di Patrizia Valduga.
Rilette come classici, poi: la Insana, la Lamarque, una inedita Maraini, una ludica Bettarini; poi rivisitate: una dolente Dell’Arte, una religiosa Bisutti, una più narrativa Musetti, una fedele Sica.
Fino all’apparizione di voci nuove e potenti, già affermate, che, sull’eco di quel corpo parlante e invocato, in esergo, narrano, come Idolina Landolfi.
O come nella parola orizzontale-verticale, esplosiva, di Annamaria Farabbi, in continua evoluzione, nella riconfermata grazia e maturità di voce di Antonella Anedda, ma anche nella bellezza di Annelisa Alleva, la modernità e nitore di Elisa Biagini, il canto eccentrico di Lucetta Frisa, quello religioso linguistico in Rosaria Lo Russo.
Ancora: la eccentricità sobria e “povera” di Gabriella Maleti, il racconto di una ininterrotta biografia femminile in Anna Santoro, il rigore lirico di Giovanna Frene, la riconsacrata musa della giovinezza, in Gabriela Fantato, che meritano adeguati spazi ed esegesi monografiche, oltre alle più recenti, Loredana Magazzeni, Alina Rizzi, Daniela Monreale, ed Annalisa Mastretta, in progress.
Un’antologia che riporta un vento di freschezza, ci aggiorna.
Ci consola sulla vitalità e lo stato di salute, sulla forza e qualità inventiva, sugli orizzonti di libertà, della presenza femminile nella poesia italiana e contemporanea. Grazie, Alina.


 DONNE DI VERSI
POETE PER SIM-PATIA
antologia di poesia 2007 a cura di Alina Rizzi


Prefazione di Alina Rizzi

Essere, sentirsi, venire considerati “diversi”, può comprendere tantissime varianti, in positivo e in negativo, ma forse, in primo luogo, andrebbe stabilito: diversi da chi o da che cosa?
Esistono individui non diversi?
Non è necessario scomodare la scienza per rispondere: sicuramente no.
L’essere umano è, innanzi tutto, unico e irripetibile, dunque diverso da ogni altro. Qualunque definizione successiva non può che essere di ordine culturale, sociale, religioso, scientifico, e tali definizioni non possono divenire un valido metro di giudizio.
Dunque diverso è, in sostanza, uguale agli altri. Sembra una contraddizione, è vero, ma come negarla? Si è diversi perché unici nel corpo, nello spirito, nell’aspetto, nelle abitudini, nell’esperienza. E’ da questo punto iniziale che le poete invitate a partecipare alla antologia si sono espresse. Infatti, benché questo volume sia voluto e organizzato da una Residenza Sanitaria Disabili, non è stato suggerito alcun approccio preferenziale al tema della diversità.
E i risultati sono sorprendenti. Come noterete, i testi qui raccolti, indicano diversità di vario genere, ma spesso proprie, personali. Il poeta osserva ciò che lo circonda e a volte scopre ciò che lo abita. Il mondo gli fa da specchio e la scrittura evidenzia. La scrittura diviene veicolo tra chi guarda e chi è guardato, cerca un contatto, genera empatia. Ecco allora che questa raccolta poetica acquista forse un valore aggiunto: permette di osservare l’altro al di fuori del giudizio, dove la diversità è soltanto un comune denominatore e, attraverso il potere della scrittura, come dell’arte in generale che è, spiega Marco Ercolani nella postfazione, “desiderio impossibile ma lecito di andare oltre…”, e avvicina chi scrive a chi legge, in un territorio che può avere caratteristiche di “surrealità” (…) scrive ancora Ercolani ma, non di meno, di apertura e generosità.
Tutto ciò partendo da una scelta iniziale dei redattori, che interpellano la “diversità” più evidente e innegabile: quella tra maschile e femminile, tra uomo e donna.
DONNE DI-VERSI recita il titolo. Dunque donne diverse dagli uomini. Diverse perché scrivono e perché osservano dalla loro personale angolatura, ma che sempre aspirano ad una circonferenza di dickinsoniana memoria, nella quale poter accogliere l’altro e le sue peculiarità. 

Presentazione dell'antologia a PAROLARIO con Serena Scionti e Bruno Perlasca.


POETE DI-VERSI recensione di Cristina Contilli
(da www.literary.it)

Donne di-versi è un’antologia sulla poesia al femminile, curata dalla scrittrice Alina Rizzi e pubblicata in collaborazione con “Sim-patia” (Una residenza sanitaria per disabili di Como, riconosciuta dalla Regione Lombardia che accoglie persone tra i 18 e i 65 anni, portatrici di handicap fisici gravi). Le poetesse o meglio le “poete” (come le definisce la curatrice) che hanno partecipato a questo volume con i propri versi sono voci molto diverse tra loro, proprio perchè, come ricorda giustamente la curatrice, nella postfazione: “L’essere umano è, innanzi tutto, unico e irripetibile, dunque diverso da ogni altro. Qualunque definizione successiva non può che essere di ordine culturale, sociale, religioso, scientifico, e tali definizioni non possono divenire un valido metro di giudizio. Dunque diverso è, in sostanza, uguale agli altri. Sembra una contraddizione, è vero, ma come negarla? Si è diversi perché unici nel corpo, nello spirito, nell’aspetto, nelle abitudini, nell’esperienza. E’ da questo punto iniziale che le poete invitate a partecipare alla antologia si sono espresse. Infatti, benché questo volume sia voluto e organizzato da una Residenza Sanitaria Disabili, non è stato suggerito alcun approccio preferenziale al tema della diversità. E i risultati sono sorprendenti. Come noterete, i testi qui raccolti, indicano diversità di vario genere, ma spesso proprie, personali. Il poeta osserva ciò che lo circonda e a volte scopre ciò che lo abita. Il mondo gli fa da specchio e la scrittura evidenzia. La scrittura diviene veicolo tra chi guarda e chi è guardato, cerca un contatto, genera empatia.”
In questo contesto si inserisce in modo significativo anche la poesia di Emily Dickinson, stampata sul retro di copertina del volume, che recita: “Accendere una lampada e sparire | questo fanno i poeti | ma le scintille che hanno ravvivato | se vivida è la luce | durano come soli.”
Hanno partecipato all’antologia: Mariella Bettarini, Gabriella Maleti, Lucetta Frisa, Maria Pia Quintavalla, Gabriela Fantato, Mariella De Santis, Lina Salvi, Carla Porta Musa, Anna Maria Farabbi, Vivian Lamarque, Giovanna Frene, Maria Grazia Calandrone, Rosaria Lo Russo, Alda Merini, Loredana Magazzeni, Giulia Niccolai, Gabriella Musetti, Anna Santoro, Gabriella Sica, Mariella Mischi, Milena Milani, Antonella Bukovaz, Sylvie Durbec (nella traduzione di Lucetta Frisa), Jennifer Compton, Evelina Schatz, Alina Rizzi,Romina, Monica Pavani, Manhaz Badihian (nella traduzione di Cristina Contilli e Pirooz Ebrahimi), Majah Taruz, Patrizia Valduga, Marisa Pimazzoni.

Presentazione dell'antologia a Como




CANTI DI VENERE
Antologia di racconti erotici femminili
a cura di Alina Rizzi
( Borelli Editore, 2005)

Barbara Alberti, Dacia Maraini, Milena Milani, Alina Rizzi, Grazia Verasani, Gaia De Beaumont, Ilaria Bernardini, Mariella De Santis, Gabriela Fantato, Anna Maria Farabbi, Paola Malavasi, Maria Vittoria Morokovski,Maria Pia Quintavalla, Anna Santoro, Evelina Schatz, sono le autrici di questa antologia di racconti erotici scritti da donne. Quindici autrici contemporanee si cimentano col racconto erotico, e per alcune di loro è la prima volta.

Poetesse, scrittrici, artiste ci offrono la loro moderna visione dell’erotismo femminile, dove sesso e sentimento, trasgressione e pensiero, piacere e curiosità si fondono in un appassionato canto che attinge tanto alla fantasia quanto all’esperienza personale di ognuna. Seduzione, mistero, sensualità sono le parole chiave di questa raccolta di scritti dell’ immaginario erotico femminile.


INTRODUZIONE
di Alina Rizzi
Scrivere in rosso, ossia scrivere d’amore e passione, di fantasie erotiche e giochi trasgressivi, di curiosità sfrenate e di incontri proibiti. Scrivere quindi libri erotici, anche detti: pornografici. Ma esiste forse una differenza tra i due generi? E, se esiste, quale potrebbe essere?

Si dovrebbe rispondere, come il grande Woody Allen, che la pornografia é l’erotismo degli altri e chiudere brillantemente il discorso. Pensandoci meglio, però, sento di poter condividere il parere di Dacia Maraini, estrapolato da una vecchia intervista, per la quale la pornografia sarebbe “la pretesa di separare il sesso dal sentimento facendone uno strumento autonomo di conoscenza e relazione.”
Diciamo allora che, se la pornografia può essere, a volte, un puro svago fine a se stesso, consumato il quale si può tornare alla propria vita senza residui emozionali, in campo letterario il libro pornografico è quello che ci permette di distrarci dai problemi e dai dubbi personali, coinvolgendoci quel tanto che basta per regalarci due ore di “libera uscita” dalle consuete abitudini sessuali. A rigor di logica, invece, un libro erotico dovrebbe non solo divertirci e intrigarci, ma anche suscitare fantasie e curiosità, suggerirci percorsi alternativi, farci dubitare delle nostre preferenze o scelte precedenti, prospettarci modi e luoghi più accattivanti. Insomma, dovrebbe risvegliare la nostra attenzione non distrarla, e quindi aprirci ad una conoscenza maggiore dell’argomento, che evidentemente non è il sesso, ma l’incontro intimo di due individui.
Può capitare dunque che uno scrittore o una scrittrice, nel tentativo di fare dell’erotismo, ottenga soltanto pornografia, oppure che volutamente decida di scrivere un libro di puro e disimpegnato intrattenimento. Perché indignarsi, come ancora troppo spesso accade? Si sono pubblicate e si pubblicano ancora tonnellate di libri d’amore che non hanno altro scopo che questo, lo stesso dicasi per certi voluminosi reportage d’avventura americani o per le infinite saghe storiche che piacciono agli inglesi. Qualcuno se ne lamenta? Non sembrerebbe. Eppure un’autrice, allorché decida di scrivere una “rilassante” storia pornografica, raramente è accolta con la stessa distaccata benevolenza.
Se vogliamo essere franchi, anche diversi racconti della famosa Anais Nin sono semplicemente pornografici: alcuni assomigliano ad un catalogo di peripezie sessuali poco probabili, altri si impegolano con la massima leggerezza in argomenti scottanti come l’incesto e la violenza carnale. Ciò nonostante Anais Nin viene considerata una scrittrice di racconti “erotici”. Un bluff? No davvero, ma più che nelle famose due raccolte “Uccellini” e “Il delta di Venere”, forse la forza dirompente della sua scrittura risiede nei diari personali, nelle pagine in cui descrive senza censure e tentennamenti la sua relazione intima con Henry Miller, dove diventa addirittura spudorata ammettendo le proprie sfrenate fantasie. Perché al di là di ciò che la Nin descrive dei loro incontri più intimi è proprio il desiderio minuziosamente analizzato, bruciante come una fiamma, incontenibile, quotidianamente rinnovato, che rende quelle pagine tanto spudorate. 
Inutile negarlo: settant’anni fa come oggi, una donna che scrive come vuole fare l’amore è una donna scandalosa, addirittura una strega, come ancora ammetteva la poetessa americana Anne Sexton , trent’anni dopo la Nin:
“In giro sono andata, strega posseduta / ossessa ho abitato l’aria nera, padrona della notte;/ sognando malefici, ho fatto il mio mestiere / passando sulle case, luce dopo luce:/
solitaria e folle, con dodici dita./ Una donna così non è una donna./ Come lei io sono stata.”
Oppure, come ribadiva la scrittrice Erica Jong:
“E’ lei la donna che inseguo. / Ogni volta che entro in una stanza / lei c’è già stata-/
con capelli che odorano di leoni e tigri,/ con un abito più nero dell’inchiostro di seppia,/
con scarpe che guizzano come lucertole / sopra il grano ondeggiante del tappeto…
Non è vergine né madonna./ Le sue palpebre sono rosse./ Va a letto con tutti.”
Ma ci vuole un grande coraggio per scrivere qualcosa di simile, soprattutto quando fantasie e desideri intimi sono molto poco, come si dice oggi, “politicamente corretti”, e vanno disinvoltamente in ogni direzione, anche la più imprevista, come qualcuno dei racconti qui pubblicati lascia immaginare.
In realtà, e lo dimostrano ampiamente le scrittrici che con curiosità ed entusiasmo hanno partecipato a questa antologia, le donne sanno benissimo cosa vogliono quando si tratta di sesso, e se trovano il coraggio di esprimerlo – e non dimentichiamo che inevitabilmente il numero fa la forza - lo fanno senza mediazioni. 
Ecco allora il proliferare di romanzi erotici e pornografici degli ultimi anni, accolti in collane specializzate che raccolgono sogni, fantasie e qualche volta – ma non è rilevante- esperienze autobiografiche vissute senza troppe inibizioni.
Si va quindi dall’apoteosi della “scopata senza cerniera” lanciata da Erica Jong con “Paura di volare” nel lontano 1973 ( un libro che Henry Miller definì “la controparte femminile di Tropico del Cancro” ) al recente “Vita sessuale di Catherine M.” di Catherine Millet, dove di tutto si tratta, purché strettamente correlato al sesso; dalle confessioni ad occhioni spalancati di aspiranti lolite del sud d’Italia, alle preziose e lascive quartine di poetesse affermate come Patrizia Valduga .
Insomma, libri diversi senz’altro, diversissimi, a volte molto sensuali a volte dichiaratamente pornografici, ma rigorosamente “al femminile”, e comunque accomunati da un impellente desiderio-bisogno di dire, e quindi di scrivere, qualcosa che da tempo non può più essere trattenuto, o peggio, censurato.

1 commento:

  1. Saluto e ringrazio Maria Pia Quintavalla per questo contributo e per la sua presenza. Sento anche io di far parte di questo popolo di donne degli anni 70, che non rinunciano alla loro vocazione poetica e all'espressione che essa comporta. La poesia non appartiene a un'epoca, ma la travalica sempre.

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