“ Si scrive ciò che si sente e si vive. Si scrive con tutto il proprio essere. E’ la sola maniera di essere onesti, di essere se stessi”.

Ivy Compton-Burnett

ANTOLOGIE, ARTICOLI e ALTRI CONTRIBUTI


DONNE OLTRE IL TEMPO
(Mariotti Publishing 2018)
Di Alice Says pseudonimo di Alina Rizzi






DONNE,
parole che lasciano il segno
antologia dell'omonimo concorso Letterario Nazionale 2018
racconto inedito "RICORDO IL CAVALLUCCIO"





SPECIALE LIBRI 2018
Dal settimanale F (Cairo Editore) aprile 2018







ANTOLOGIA
IL GIRO DEL LAGO IN 40 RACCONTI
Carlo Pozzoni Fotoeditore - 2018

Contiene il mio racconto inedito "FAVOLA"





ANTOLOGIA
IL FIORE DELLA POESIA ITALIANA 2016
a cura di Mauro Ferrari e Vincenzo Guarracino
Puntoacapo Editrice

 


con Vincenzo Guarracino

con la poetessa Donatella Bisutti

con Giampiero Neri ad Erba



Dal mensile NATURAL, luglio 2017


Una poesia per le vittime
VASI DI BAMBOLE 
di Alina Rizzi
dal magazine ORA- febbraio 2017




dal mensile NATURAL
"Scrivi, ti sentirai subito meglio"




dal settimanale F
"Il potere di guarire ha reso le donne libere"



L'AMORE DALL'A ALLA ZETA
antologia a cura di Vincenzo Guarracino
 I poeti contemporanei e il loro sentrimento amoroso
Pontoacapo Editrice


la mia poesia: "torso femminile"



  LA DOLCE VITA
 Antologia di racconti erotici by italian women writers 
A cura di Maxim Jakubosky per Ranning Press (New York). 
10 autrici per 10 storie che non si faranno dimenticare! 



Il mio racconto:  
COSTRUZIONI VARIABILI 

Sarà questo l’inferno che si dice:
volere ancora le cose
della vita e sentirsi in altre stanze
(Daria Menicanti, “Autunno”)

L'uomo è vecchio ma finge di non saperlo. Lei, nei suoi ricordi, è soltanto giovane, bella, vitale. Nulla di più di quello che l'uomo prova nei suoi confronti. Lei potrebbe essere una sua costruzione mentale, una follia. Forse lui inventa. Forse racconta a sé stesso un desiderio mai realizzato. Ma questo non è possibile scoprirlo: non ci sono indizi. L'uomo sta raccontando e non gli importa di essere ascoltato. Inizia dalla fine, perché ha bisogno di sciogliere i nodi.
- E poi mia moglie scoprì tutto,- sta dicendo.
-  La solita telefonata anonima le comunicò date, luoghi e orari, con precisione meticolosa. Non credevo di avere molti amici, ma ho sempre sospettato nemici invisibili e avvelenati, pronti a slanci da serpi alla prima occasione propizia. Che arrivò naturalmente e nel momento peggiore, in cui lei, non chiedendo più niente, mi aveva legato così bene, così bene.
Mai più, disse mia moglie categorica, guardandomi dritto negli occhi.
Figuriamoci. Senz'altro ero d'accordo. Esercitava un suo sacrosanto diritto. Mai più, sicuramente, le risposi. Sta' tranquilla. Del resto non si era trattato che di un gioco, una bravata, un’avventura. Una corsa eccitante e svagata dietro un paio di gambe snelle, dietro una gonna impudentemente corta, una bocca audace. Il colpo di testa di un ragazzino.
Immaturo, ingrato, porco, sibilò a denti stretti, senza muovere un solo muscolo del viso. Come negare? Accuse retoriche ma giuste, imputabili a qualunque cinquantenne. Sì, perché nel frattempo erano trascorsi più o meno otto anni. Una ragazzata lunga quasi un decennio, da non credere, una specie di regressione, tenuta saldamente sotto controllo però. Del resto
se ne incontrano tante in minigonna e tacchi alti. Tantissime coi capelli tinti che sembrano veri, biondo miele, come naturali. Tutte con l'aria fatale quando è un cinquantenne, tra i cinquanta e i sessanta per la precisione, il pretendente. Aspiranti lolite in cerca di pigmalioni. Ma io davvero non ne ho mai avuto la stoffa: non so proteggere, rassicurare, consolare. Non ho neanche del gran tempo da perdere, per cui i patti sono  stati chiari fin da subito. Ci si vede e basta, tutto lì. Che tanto la paura di invecchiare e poi di morire non  passa ugualmente, anche se lei ha trent'anni di meno. Sarà per questo che quando mia moglie  disse che doveva finire io non ci persi il sonno. Sapevo che sarebbe potuto capitare e alla fine è accaduto. Non mi è parso il caso di farne una tragedia, tanto che per semplificare a lei l'ho detto per telefono. Del resto detesto i pianti, le minacce o qualunque altra cosa sarebbe potuta accadere. Mi è sembrato tutto chiaro, pulito. Non c'era granché da discutere e così ho chiuso. Un bel taglio netto, come mozzarsi una mano o un braccio. Un gesto forte, efficace e di soddisfazione. Un uomo pragmatico non ha tentennamenti: è un manager dell'anima.
Il dolore, quello vero intendo, non era previsto. E' subentrato un paio di mesi più tardi, forse tre, in modo improvviso e subdolo. (continua...)


IO E L'ALTRA ( Edizioni Joker, 2010)



Chi sono le donne che ogni giorno vengono violentate, assassinate, stu­prate, e i cui corpi ci giungono contorti, macchiati, spezzati? Chi sono queste donne non amate per ciò che sono come persone, ma brutalmen­te desiderate come carne? Cosa hanno provato durante il massacro della loro identità? Erano intelligenti, sensibili, colte... erano come noi? Come restituire loro dignità, forza, cuore, anima affrontando i segni dei misfatti di cui sono state vittime, e con quali codici narrare le loro sventure?
Il teatro e la poesia possono, in poche righe, raccontarci mondi interio­ri e psichici, restituirci la complessità di una relazione o di un momen­to di vita e trasformare un atto banale in narrazione dai contenuti uni­versali. Quando il teatro e la poesia riescono a divenire, nella loro sin­tesi, voce delle voci, voce di tutti, sguardo degli sguardi, l'arte ha rag­giunto la sua finalità. Io e l'altra, raccolta di testi per il teatro, unisce autrici italiane di diversa provenienza geografica e formazione lettera­ria accomunate dallo stesso sforzo: denunciare le mille forme di violen­za alle donne rendendole visibili, udibili, concrete.





NATASCHA E IL LUPO
Lettura scenica di Daniela Jannace
Biblioteca di Baggio- Milano. 12-10-2013





Biblioteca Villapizzone, Milano. 19-10-2013




PAROLARIO festival letterario

dal 28 agosto al 12 settembre 2010

PRESENTAZIONE DELL'ANTOLOGIA IO E L'ALTRA
con due autrici: Alina Rizzi e Mariella De Santis.
Dialogano con la giornalista Katia Trinca







RECENSIONI:
Maria Grazia Calandrone, Mariella De Santis, Clara Galante, Maria Inversi, Alina Rizzi, IO E L’ALTRA, Panopticon, Novi Ligure, 2010, pg. 100, euro 12,50
L’emergenza ”femminile” continua ad attraversare drammaticamente le nostre società avanzate, che irridono i fondamentalismi islamici ma sono ben lungi da superare tanti mali oscuri che le attanagliano nell’ombra. Il tema della violenza nei confronti della donna dovrebbe attivare quotidianamente esponenti politici, opinionisti di successo e agitatori sociali, ma invero ben poco di tutto ciò accade. L’unica nota positiva in tal senso in Italia proviene dal riconoscimento del reato di stalking; non senza contraddizioni però, visto che all’atto pratico le denunce femminili, che già di per sé arrivano in una fase assai avanzata del problema, vengono sottovalutate e in più occasioni la decisione di controllare o arrestare il persecutore arriva troppo tardi, quando il danno – persino quello esiziale – è già stato consumato. Qualcosa di più fa la Spagna di Zapatero, almeno nel senso di campagne di sensibilizzazione a tutela dei diritti e della dignità delle donne.
In tutto ciò si sconta la sostanziale debolezza del movimento femminista. Che, dopo la rivoluzione culturale che riuscì a imporre alla società, e soprattutto alla sinistra, negli anni 70, oggi appare timido, diviso, inibito nella sua azione. Difficoltà che è anche linguistica: oggi le donne faticano a trovare le parole, e dunque la misura, per imporre, con garbata fermezza, le problematiche che le riguardano all’attenzione generale. Il libro che ho fra le mani, e di cui vi consiglio la lettura, rappresenta il tentativo di compiere un passo in questa direzione.
Le autrici sono cinque donne, di provenienze diverse, anche per territori di competenza: ci sono poetesse, scrittrici, attrici. Qui sono alle prese con una drammaturgia dedicata a evidenze macroscopiche della questione femminile in questi anni. E partono, direttamente e spietatamente, da casi di cronaca nera realmente accaduti. Donne extracomunitarie vendute come schiave e costrette alla prostituzione, donne picchiate dai loro mariti e poi buttate via come rifiuti, donne violentate e abusate per anni dal padre o dallo zio. Testi scritti per essere rappresentati.
Ne viene fuori una lettura diseguale, disomogenea; ma stimolante. In qualche caso una certa retorica di maniera sembra guidare la mano dell’autrice. In altri casi ci si affida alla poesia, o addirittura alla citazione letteraria, forse nell’intento di addomesticare un tema che è brutale e, nella sua feroce assurdità, quasi indicibile, sostanzialmente insopportabile.
Gli episodi più riusciti sul piano espressivo mi paiono quello di Mariella De Santis, che racconta di una albanese trattenuta dai suoi aguzzini come schiava con una ricchezza di toni e una varietà di sfumature, che non stempera ma anzi rende più convincente l’impatto narrativo; e quello di Clara Galante, in cui la scelta di dire per versi si rivela sobria, intensa ed efficace.
Storie in cui un elemento di novità è dato dalla rabbia che a volte emerge prorompente e risolutiva: in alcuni casi le vittime di questi delitti, violentate non solo nei corpi ma nella brutalizzazione e nella dissoluzione della loro personalità, impugnano le armi e sparano. Non è possibile ricomporre l’esistenza in termini di giustizia; ma intanto si esce da uno scontato vittimismo, e l’effetto finale che si ottiene è quello di rappresentare la giungla globale, la vittoria finale della violenza su tutte e su tutti.
( Franco Dionesalvi )


IO E L'ALTRA ( dal Corriere Nazionale )
Nel marzo di quest’anno è uscito, per la collana Panopticon delle Edizioni Joker, “Io e l’altra”; cinque le autrici, Maria Grazia Calandrone, Mariella De Santis, Clara Galante, Maria Inversi e Alina Rizzi, per un tema di cui c’era davvero bisogno di scrivere e di farlo in modo non banale. Il libro, corredato dalle significative fotografie di Valeria Floris e Fabio Gasparri, ha la stimolante prefazione di Paola Bertolone.
Chi è “l’altra”?
Leggendo le innumerevoli vicende di cronaca in cui una donna, una bambina, una moglie, una figlia sono state perseguitate, maltrattate, seviziate, uccise, viene da chiedersi come sia possibile giungere a tali condizioni estreme, come sia possibile sopportare e subire, anche per anni, situazioni che non possono che condurre ad un epilogo violento: la morte della vittima o del carnefice. Ci si domanda come si stabiliscano nel tempo e si rafforzino rapporti, spesso familiari, tanto orribili, come la società circostante possa tollerarli e perfino metabolizzarli, quale visione di sé e della propria vicenda le protagoniste abbiano interiorizzato.
Le autrici dei testi teatrali in forma poetica che compongono “Io e l’altra”, antologia ideata e fortemente voluta da Maria Inversi, autrice e regista, si confrontano con tutto ciò e provano, con la reinterpretazione di vicende realmente accadute ed avvalendosi della personale esperienza, misurandosi col dolore immane, il riscatto, i ruoli imposti dalle strutture sociali, a ricostruire il vissuto interiore e pubblico delle protagoniste per rendere tali storie consapevolezza collettiva.
I testi s’ispirano a specifici fatti di cronaca, taluni noti, altri finiti nel grande calderone della cronaca nera senza aver destato particolare interesse, altri volutamente ignorati e celati.
Molto diversi tra loro, sono accomunati dall’esigenza del linguaggio poetico, e d’altronde non avrebbe senso far parlare queste storie con il linguaggio del quotidiano, finirebbe col somigliare a quello della cronaca, che ha già detto ciò che doveva dire e quindi non riuscirebbe ad avere l’efficacia comunicativa che solo la distanza del verso poetico riesce ad avere. Distanza per meglio vedere, allontanarsi dunque dalla concretezza misera delle parole di tutti i giorni, per restituirci la drammaticità dei corpi e delle menti, passando dall’emozione alla ragione.
( Barbara Gabotto )


IL LIBRO (CORRIERE DELLA SERA, 1 -11-2010)
«Io e l' altra», parola di donna
Chi sono le donne che ogni giorno vengono violentate, assassinate, stuprate e i cui corpi ci
giungono contorti, macchiati, spezzati? Chi sono queste donne non amate per ciò che sono
come persone, ma brutalmente desiderate come carne? Cosa hanno provato durante il
massacro della loro identità? Erano intelligenti, sensibili, colte? Erano donne semplici e
sole? Come restituire loro dignità, forza, cuore, anima, affrontando i segni dei misfatti di cui
sono state vittime e con quali codici narrare le loro sventure? Il teatro e la poesia possono,
in poche righe, raccontarci mondi interiori e psichici, restituirci la complessità di una
relazione o di un momento di vita e trasformare un atto banale in narrazione dai contenuti
universali. Quando il teatro e la poesia riescono a divenire, nella loro sintesi, voce delle voci,
voce di tutti, sguardo degli sguardi, l' arte ha raggiunto la sua finalità. «Io e l' altra», appena
uscito in libreria, è una raccolta di testi per il teatro: cinque testi che si ispirano a fatti di
cronaca. Sono scritti da altrettante autrici italiane di diversa provenienza geografica e
formazione letteraria, accomunate dallo stesso sforzo: denunciare le mille forme di violenza
alle donne, rendendole visibili, udibili, concrete. Le autrici sono Maria Grazia Calandrone,
Mariella De Santis, Clara Galante, Maria Inversi e Alina Rizzi. Il libro è pubblicato da Joker
(nella collana Panopticon di testi teatrali) con la prefazione di Paola Bertolone, che scrive:
«Se Arte è solo quella necessaria, allora qui siamo in presenza di Arte. L' urgenza sempre
come volontà di sopravvivere, come desiderio di vita, come diritto alla felicità». E. C.
RIPRODUZIONE RISERVATA
Caretto Ennio
Pagina 11
(1 novembre 2010) - Corriere della Sera




LETTURA SCENICA del mio testo NATASHA E IL LUPO
con DANIELA JANNACE E SOFIA ORLANDO
regia Barbara Gabotto
Sesto San Giovanni (MI)


Da sinistra:
Alina Rizzi, Daniela Jannace,Sofia Orlando, Barbara Gabotto, Simona Biasetti, Mariella De Santis.

Daniela Jannace in NATASCHA E IL LUPO
Sofia Orlando è NATASCHA
(Foto di scena di Max Amati)


Presentazione dell'antologia a Milano, spazio Scopricoop. 
Con Mariella De Santis, Maria Inversi, Barbara Gabotto.




 


Presentazione a Trezzo d'Adda, con Mariella De Santis
  









TESI DI DIPLOMA IN ARTETERAPIA
(Scuola di Arteterapie La Linea dell'Arco - Lecco - Anno 2009/2010 - 
relatore Proff. Giorgio Bedoni)

LE PAROLE NECESSARIE
L’AUTOBIOGRAFIA IN ARTETERAPIA
di Alina Rizzi



Capitolo 1
L’ESPRESSIONE ARTISTICA: UN BISOGNO PRIMARIO

Chi direbbe che le macchie
abbiano una loro vita
e aiutino a vivere?

Frida Khalo

Le incisioni rupestri sono forse tra i primi esempi documentati di espressione artistica attraverso il disegno. Riferibili all’età della pietra, circa 10.000 anni fa, e rintracciabili in diverse parti del mondo, dalla Francia alla Spagna al Sudafrica, ci riportano ad un’era primordiale, un tempo in cui i bisogni primari dell’uomo erano pochi e ben codificati: nutrirsi, difendersi, riprodursi. Incidere la roccia per creare un disegno non poteva essere che un elemento marginale oltre che faticoso per l’uomo neolitico, ma evidentemente necessario, a giudicare dai reperti ritrovati ( e chissà quanti ancora sepolti in luoghi inesplorati), e dalla loro qualità artistica.  Incise con tecniche e materiali del tempo, le pietre rupestri ci trasmettono disegni elementari legati alla realtà quotidiana, ma anche forme e geometrie, espressione di un mondo simbolico e archetipico ben riconoscibile. In Valcamonica, per esempio, il parco che copre la collina sopra il fiume Oglio, riconosciuto nel 1979 Patrimonio Mondiale dell’Unesco, raccoglie tutti i periodi dell’arte rupestre camusa, testimoniando il racconto straordinario della nascita e degli sviluppi della civiltà umana.  Utilizzando come attrezzi dei sassi appuntiti e come supporto grandi pietre lisciate in era glaciale, i nostri antenati hanno lasciato a loro testimonianza incisioni di uomini con braccia alzate al cielo ( l’adorante), di animali ( cervi e uccelli), di scene di vita quotidiana come la caccia, la guerra o  carri trainati da buoi. Ma anche figure più complesse come labirinti, mappe, scacchiere, e in seguito i primi elementi rudimentali di scrittura. Quindi una cronologia espressiva che ricorda quella dei bambini i quali, dai primi mesi di vita all’età scolare, passano attraverso lo scarabocchio, la forma circolare, la figura stilizzata, la figura più elaborata ed inserita in un contesto riconoscibile.
Non è necessario cercare bambini particolarmente dotati a livello artistico per riscontrare un innato bisogno di espressione di sé attraverso la rappresentazione del mondo circostante. Il desiderio di disegnare fa parte dell’essere umano come il desiderio di parlare, camminare, conoscere. Ma poiché utilizza un codice molto più semplice dell’alfabeto ( la matita che scorre sul foglio è già rappresentativa di un pensiero non ancora verbalizzato) si presta meglio ad evidenziare stati d’animo, emozioni e paure difficili da tradurre in parole. Non a caso, ad un bambino spaventato, l’esperto non chiede di raccontare cosa è accaduto ma più facilmente di disegnare i fatti, in cui entrerà a far parte, inevitabilmente, l’espressione delle emozioni vissute.
I colori giocano una parte importante, ovviamente. Benché non sia del tutto accreditata l’ipotesi di un simbolismo dei colori ( nero-dolore, rosso-passione o inquietudine, giallo-vitalità, azzurro-spiritualità, ecc…) è senza dubbio significativa la predominanza di alcune scelte cromatiche, quasi mai casuali. E ciò vale per il bambino come per l’adulto.
Durante la mia esperienza di laboratorio con un gruppo di ragazze anoressiche e bulimiche ( e con patologie psichiatriche associate a questi disturbi) ho potuto osservare personalmente come i colori avessero un significato personale spesso diverso da quello più accreditato. Per esempio: il rosso era considerato un colore legato all’amore da una ragazzina di 16 anni ( amore per la madre in questo caso), era invece un colore angosciante e legato a fantasie di morte per una ragazza di 21 anni vittima di violenze sessuali.
Il bianco era il colore della purezza, della pace, della leggerezza per molte ragazze, ma diventava elemento di disturbo e di angoscia (legati ad un senso di vuoto) per un’altra che non lo usava mai.
Il blu, per la maggior parte di loro, era il colore del buio e della notte. Hanno disegnato cieli notturni, mari in tempesta, notti senza stelle, ma anche lacrime blu. Solo una di loro percepiva questo colore come il simbolo “del buio interiore, un luogo protetto dalle invasione esterne, in cui potersi rifugiare.” E quindi lo trovava “rilassante”.
Resta il fatto che il colore nero è più spesso associato a dolore e morte.
Ne è l’esempio il disegno di una bambina di 10 anni, proveniente da un orfanotrofio della Bielorussia, in cui ha subito violenze e abusi al punto da desiderare di trasformarsi in un angelo, attraverso la morte, per riunirsi ai suoi genitori. La bimba per molto tempo non ha raccontato quello che subiva, ma faceva moltissimi disegni dove c’era sempre una bambina-vittima e un adulto protagonista di maltrattamenti. E sono stati  proprio i disegni a mettere in allarme i genitori affidatari italiani, molto prima dei suoi tentativi di annegarsi in mare o di usare le lamette che rubava e teneva in tasca.Altro esempio significativo sul potere di testimonianza non verbale dei disegni infantili, lo cogliamo nel lavoro di un bambino di 14 anni scampato al campo di concentramento di Auschwitz. Thomas Geve oggi ha 82 anni e ha pubblicato tutti i disegni che produsse non appena riconquistata la libertà, nell’aprile del 1945, accompagnandoli con didascalie estremamente lucide e precise, allo scopo di NON DIMENTICARE quello che gli era accaduto, ma forse anche di rielaborare le angosce del campo così da potersele lasciare alle spalle, almeno in parte. ( Qui non ci sono bambini” di Thomas Geve, Einuadi, 2010).  Utilizzando il retro dei formulari delle SS e le matite colorate, Thomas raccolse le poche forze che gli restavano dopo la durissima prigionia, per testimoniare e affrontare il suo dolore attraverso 79 disegni di una bellezza straziante. Li consegnò poi al padre, unico familiare sopravvissuto all’olocausto, e da quel giorno non disegnò più. 
( Dalla tesi "LE PAROLE NECESSARIE" di Alina Rizzi - Scuola di Arteterapie La Linea dell'Arco - Lecco - Anno 2009/2010 - relatore Proff. Giorgio Bedoni)

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