racconto pubblicato sul blog "La 27esima ora" del Corriere della Sera
Caro dottore,
non
ci sarà alcun addio e credo che continuerò a chiamare “pausa” questo silenzio
tra noi. Non mi staccherò definitivamente da lei come forse sarebbe giusto e
auspicabile: preferisco così. La pausa è meno definitiva, lascia le porte
accostate. Ma probabilmente non ci vedremo più, non nel suo studio almeno. Non
so dire se ho ancora bisogno di lei e dei nostri incontri settimanali, ma per ora mi sembra
giusto tentare di camminare con le mie
gambe. Sei anni di psicoterapia non sono una passeggiata, ma mi hanno insegnato
ad accettare il fatto che non tutto si può programmare né risolvere
definitivamente, ammesso che risolvere sia sempre indispensabile. Col suo aiuto
ho compreso che non ci si può rendere responsabili di ogni cosa: di un amore
finito, di una lavoro perso, di famigliari distratti. Rinchiudersi, fare le
vittime predes
- Alcuni anni
fa, credimi, sono stata molto male. Ho smesso di lavorare, di vedere gente. Non
avevo più voglia di niente, sembrava tutto inutile, - mi racconta.
Il pudore è uno scudo che ci censura l’anima, per questo noi due lo ignoriamo. Marina stava per avere un bambino quando ha avuto un brutto incidente automobilistico e si è ritrovata senza bambino e con una gamba più corta, cioè zoppa. Nessuno è immune al dolore. Prima di andarmene, in piedi di fronte allo specchio – lei alle mie spalle mi tiene le mani sui fianchi- mi vedo incredibilmente leggera e luminosa. Poi corro fuori attraverso il giardino ancora ghiacciato, respiro una quantità d’aria da stordire e penso al sole, alle onde, a una lunga spiaggia bianca, a una ….Marina.
Non sarà geloso,
vero dottore? Può essere che io stia vivendo un tipico caso di transfert,
sostituendo lei con Marina, ma non è detto che l’esperienza si rivelerà
dannosa. Oh certo potrei ricevere grandi delusioni da questa donna di cui,
tutto sommato, non so granché, ma anche lei era un estraneo all’inizio, così
come tutti gli individui a cui ci accostiamo per la prima volta. E cosa può
proteggerci dalla delusione se non il non-darsi, specchio del non-ricevere, che
per tanto tempo mi ha pietrificata nella mia solitudine? Io ho bisogno di
compagni di viaggio, che dividano con me almeno un po’ del tragitto lungo i
giorni rendendolo meno pesante. Forse non é
“normale” questa mia costante ricerca di calore, vicinanza, presenza, di
uno scambio profondo di sentimenti ed emozioni che non si esaurisca nell’arco
di una sera. Mi guardo attorno e mi accorgo che il mito imperante sembra
essere: ognuno per sé e Dio per tutti. La condizione ideale è indipendenza e
autonomia. Vanno forte i singoli, le vacanze individuali, le monoporzioni al
supermercato, il telelelavoro, le amicizie intercontinentali, il sesso
virtuale. Dunque va di moda
Dottore caro,
non credo che risponderà a questa mia lunga lettera, forse non è previsto dalla
pratica terapeutica, forse non ne ha voglia, forse sarebbe inutile. Per cui
continuerò per la mia strada.
Marina dice: -
Cerca di camminare a piedi nudi- .
E io: - Non
posso! Detesto tenere i piedi per terra! –
La vedo spalancare gli occhi, poi scoppia a ridere. Mi consiglia di riflettere con attenzione su ciò che ho detto, ma sono stupita quanto lei: da dove mi è venuta un’affermazione simile? I piedi per terra. Il mio leggerissimo corpo saldamente appoggiato al suolo. Marina annuisce con un sorriso dolce. Dunque non sono solo spirito e testa, ma anche carne e sangue. Non soltanto emozioni, ma anche corpo. Un corpo indiscutibilmente vivo e quindi accompagnato dalla fame e dalla sete, dal desiderio e dalla spossatezza che gli appartengono. Un corpo che abbisogna di tante cose pratiche ed essenziali come abbracci, carezze, vicinanza, sorrisi, risate. Marina mi stringe il viso tra le mani, dolcemente:
- Non guardare
gli altri. Vivi a modo tuo. Trova la tua strada. -
La mia strada e i piedi per terra. D’un tratto mi sembra di aver ricevuto delle coordinate ben precise: una direzione concreta.
- Lascia uscire
la bellissima luce che hai dentro- ha
detto Marina, prima che me ne andassi.
Ma di quale luce parlava? Mi sono sempre considerata una persona triste, confusa, contorta. Forse per un certo periodo mi sono creduta anche appassionata, coraggiosa e intraprendente, ma poi quando Luca mi ha mollata da un giorno all’altro è cambiato tutto. E perdere il lavoro è stata un’ennesima batosta. Mi dica dottore: anche lei vedeva la mia luce? Ma non aspetterò la sua risposta, mi perdoni. Voglio fidarmi di Marina e del mio istinto. Così ora mi tolgo le scarpe e le calze, appoggio con precauzione i piedi a terra. Provo l’impulso istintivo di gettarmi sul divano e di sollevare le gambe, ma resisto. Cerco di stendere le dita per trovare un vero contatto col suolo. Mi è difficile non contrarre gli alluci per poi spostare il peso del corpo sui lati esterni dei piedi, come faccio sempre, tenendomi quasi in bilico su pochi centimetri di carne e di ossa. La terra mi spaventa anche se il pavimento è pulito, tiepido, liscio. Respiro profondamente. Mi sforzo di fare aderire i talloni e le piante alle piastrelle lucide di legno. Respiro. La terra mi sostiene e questo mi stupisce. Non sto barcollando sui soliti tacchi altissimi, non devo concentrarmi per restare in equilibrio. E’ una posizione davvero insolita. Mi spinge a raddrizzare spontaneamente la schiena, ad abbassare le spalle, a contrarre il ventre.Sento i polmoni riempirsi d’aria e di ossigeno. Divento più leggera, più stabile.Respiro ripensando alle ultime settimane: mi sono trovata un lavoro, ho rinnovato il mio mini appartamento, ho un nuovo taglio di capelli e un’amica fisioterapista di nome Marina. A volte rido e a volte piango, prendo i farmaci che mi sono stati prescritti, e mi dico che la vita è faticosa per tutti e piena di imperfezioni, ma è la sola che abbiamo.
Se l’analisi
doveva aiutarmi a sbrogliare i nodi, probabilmente in parte ci è riuscita. Ma
l’analisi non è la panacea di tutti i mali e un analista non è Dio – anche se
lo dico con estremo affetto.
Dunque sembra
proprio impossibile risolvere le cose definitivamente e dopo continuare a
vivere per sempre felici e contenti, come nelle favole. Forse è possibile, invece,
fare un piccolo passo avanti ogni giorno,
stare un po’ meglio, e dedicarsi ad attività più appaganti del pianto e
dell’autocommiserazione. L’amore di un
uomo resta una speranza ma non è più una priorità assoluta per me. E non ho una
vita travolgente, certo, ma l’alternativa che ho sperimentato personalmente –
la paralisi, il buio, il silenzio, il dolore indicibile - non era affatto migliore
anche se, per rendermene conto, ho dovuto planare sulla superficie delle cose e
poggiare i piedi a terra, ricominciare a respirare profondamente, fare punto e
a capo. Che cosa ne
pensa, dottore? Molti direbbero che non si tratta di un processo
complicato, ma forse proprio per questo è stato tanto faticoso: le cose
semplici non sono mai le più facili.
Le auguro ogni
bene.