BAMBINO MIO
Quello che le madri non dicono
Recensione di Ivan Bavuso
Quando nel
maggio del 2014 ho incontrato per la prima volta Alina Rizzi e l’editore aveva
provato a chiederle se voleva che fossi io a presentare il suo libro, dato alle
stampe solo un mese prima, in un incontro che doveva ancora essere organizzato,
Alina aveva nicchiato. In quel frangente, il libro non lo avevo ancora letto.
Avevo letto la quarta di copertina e mi ero fatto un’idea leggendo forse il
primo racconto. Il fatto che l’autrice non sembrava troppo entusiasta nel farsi
presentare da me, non mi aveva disturbato, ma avevo pensato che l’autrice s’era
fatta l’idea che non sarei stato all’altezza di una prima presentazione di Bambino mio - quello che le madri non dicono. E le cose,
in un certo senso, stavano davvero così. Alina mi aveva confidato che stava
aspettando la risposta di una presentatrice, una psicologa o qualcosa del
genere.
Be’ ˗ pensai ˗
ognuno è libero di fare quello che vuole, soprattutto se si tratta di qualcosa a
cui s’è dedicata con passione, ma devo anche confessare che mi rimase
appiccicata quella sensazione di essere stato snobbato. Ora che ho letto per
intero il suo libro ho capito perché, al suo primo apparire, non dovevo essere
io a presentarlo. Non dovevo essere io non in quanto Ivan Bavuso, non dovevo
essere io in quanto appartenente a un altro genere.
Il libro di
Alina Rizzi è un collage di 21 storie che hanno un unico filo conduttore che è
quello della maternità prima, dopo e durante. Una maternità sofferta,
travagliata, soffocata, insolente. Lontana anni luce da quella maternità che
viene ostentata ovunque, nelle pubblicità, nelle serie Tv, nei romanzi e
purtroppo anche nei salottini della buona società così come nelle case di
ringhiera delle residenze popolari. In questi contesti la maternità è qualcosa
di bello, che evoca solo sentimenti felici anche quando richiede grandi
sacrifici.
Poi però le
cronache dei giornali raccontano una verità diversa.
Il libro di
Alina Rizzi è un libro coraggioso. Intellettualmente coerente, emotivamente
perturbante. Solo leggendolo dall’inizio alla fine è possibile provare a
raccontarlo. È come fare un giro sulle montagne russe. Quando ti accomodi sai
già che dovrai affrontare il giro della morte, ma non ci arrivi subito. Prima
affronti delle salite e delle discese che tutto sommato sono sopportabili, è
quando ti ritrovi a testa in giù che sfrecci a una velocità che ti lascia senza
fiato, non sei più così sicuro di avere fatto la cosa giusta a salire sulla
giostra. Poi il giro termina di nuovo affrontando delle curve più dolci, e
quando scendi sei disorientato ma anche più consapevole.
Ecco questo è
un po’ quello che ho provato leggendo Bambino
mio.
Ciò che ti
spiazza più di tutto quando ormai sei nel giro della morte del libro è la
difficoltà che il lettore ha di immedesimarsi nei personaggi. Chi ama leggere
sa bene che il processo empatico con i protagonisti (o a volte anche con gli
antagonisti) di una storia è fondamentale. Pensate a Jean Valjean: chi non
vorrebbe essere dotato delle sue virtù? E pensate invece ad Anna Maria
Franzoni: chi vorrebbe essere accostato a una donna, ancorché la si ritenga
vittima di una condanna ingiusta, accusata di avere ucciso il proprio bambino?
Alcuni
racconti di Alina Rizzi sono destabilizzanti, ma hanno il pregio di raccontare
senza pregiudizio quello che spesso ci ritroviamo a commentare in maniera
superficiale leggendo il giornale. È un libro che parla alle donne, che vuole
stimolarle e rincuorarle al tempo stesso. Gli uomini in questo libro non ci
fanno una grande figura, ma forse proprio per questo che noi uomini dovremmo
ascoltare le voci di Bambino mio al
pari delle donne.
Il libro però
non è solo devastazione emotiva. È anche altro. Nel Racconto MARIA viene
esplicitata tutta la poetica del libro. In L’UOMO IDEALE c’è tutta la forza
dell’amore che unisce una madre al proprio figlio. In MADRE LINGUA c’è la
tragedia subìta più che quella provocata. Ne LA SIGNORA CANNIBALE e in ANNETTA
è l’alterazione della realtà e della sua percezione che graffiano il lettore.
Ne L’ODORE DI CASA siamo noi che ci barcameniamo nel disperato tentativo di
superare lo scontro generazionale e che inibisce i rapporti con chi amiamo.
Infine nel racconto NELLA STANZA Alina Rizzi ha il pregio di tendere una mano
al lettore in segno di pace. Racconta una storia che potrebbe essere la storia
di tutte le donne divenute madri. È la storia di un travaglio emotivo che volge
verso orizzonti più sani e sereni anche se non necessariamente semplici da
perseguire.
E poi, in
ultimo, il libro di Alina Rizzi è scritto bene. Ogni parola si trova al posto
giusto. Non ce ne sono troppe e non ce ne sono poche. Le descrizioni sono
evocative, i dialoghi assolutamente reali. Insomma se fosse un vino Bambino mio sarebbe un rosso corposo su
un banchetto regale: un po’ forte, ma schietto e leale.
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