“ Si scrive ciò che si sente e si vive. Si scrive con tutto il proprio essere. E’ la sola maniera di essere onesti, di essere se stessi”.

Ivy Compton-Burnett

martedì 12 gennaio 2021

L'AMORE NON E' TUTTO

racconto pubblicato sul blog "La 27esima ora" del Corriere della Sera

 


Caro dottore, 

non ci sarà alcun addio e credo che continuerò a chiamare “pausa” questo silenzio tra noi. Non mi staccherò definitivamente da lei come forse sarebbe giusto e auspicabile: preferisco così. La pausa è meno definitiva, lascia le porte accostate. Ma probabilmente non ci vedremo più, non nel suo studio almeno. Non so dire se ho ancora bisogno di lei e dei nostri  incontri settimanali, ma per ora mi sembra giusto  tentare di camminare con le mie gambe. Sei anni di psicoterapia non sono una passeggiata, ma mi hanno insegnato ad accettare il fatto che non tutto si può programmare né risolvere definitivamente, ammesso che risolvere sia sempre indispensabile. Col suo aiuto ho compreso che non ci si può rendere responsabili di ogni cosa: di un amore finito, di una lavoro perso, di famigliari distratti. Rinchiudersi, fare le vittime predestinate, non aiuta certo a risolvere le questioni, né a risollevare il morale abbattuto. Così mi alzo la mattina e metto i piedi giù dal letto, anche se spesso preferirei tirarmi il lenzuolo sopra la testa e dormire. Nonostante il mio fidanzato mi abbia lasciato dopo cinque anni di progetti comuni, sbrigo le inevitabili incombenze quotidiane, incontro alcune persone che forse nel tempo chiamerò amici, tento di guadagnare del denaro per vivere, nella speranza di trovare presto un lavoro più gratificante e congeniale. Continuo a sentirmi molto sola, ma è sicuramente una condizione comune alla maggior parte delle persone di questi tempi, e cerco di non farne un dramma. Tento di prendermi cura di me, accogliendo le sensazioni che arrivano, belle o brutte che siano, e di lasciarle andare senza trattenerle con ostinazione. Questo l’ho imparato facendo meditazione ( di chiama mindfulness sulle riviste di moda) con un’insegnante anziana e gentile e due sfigati come me, che non riescono a gestire un’ansia esagerata e tendono a farsi davvero troppe domande inutili. Poi ho incontrato Marina, che mi sta curando il mal di schiena, di spalle, di collo, di ossa malmesse e scricchiolanti. Arrivo da lei, una volta alla settimana, impaziente di stendermi sul materassino a fiori e di abbandonarmi alle sue mani. E lei certo non si fa pregare. E’ curioso: più lei tira, preme e spinge, più io mi rilasso godendo pienamente della sua forza sicura. Non mi lamento mai, al limite con una silenziosa smorfia. Così Marina si prende cura di me, per più di un’ora, e mentre stiracchia chiedendomi della mia vita, delle mie gioie e delle mie rinunce. E ciò che le racconto lei se lo ritrova sotto la punta delle dita, in luoghi predestinati, in cui la vita si ingorga qualche volta. Lei piega e massaggia mettendoci la sua energia e la sua passione, perché i nodi si sciolgano liberando i miei fluidi, e intanto ascolta ciò che ho da dire. Spesso mi fa delle domande, senza nascondere il proprio interesse, e poi, ascolti bene dottore, poi mi dà le sue risposte, il suo parere. Capisce dottore? Marina mi ascolta con attenzione rara, ma poi non mi lascia sola come faceva lei, a rimuginare le risposte, come non avesse opinioni o preferenze, o una vita sua, prima e dopo il nostro incontro. No, Marina parla anche di sé: quanto più le dono tanto più ricevo.

- Alcuni anni fa, credimi, sono stata molto male. Ho smesso di lavorare, di vedere gente. Non avevo più voglia di niente, sembrava tutto inutile, - mi racconta.

Il pudore è uno scudo che ci censura l’anima, per questo noi due lo ignoriamo.  Marina stava per avere un bambino quando ha avuto un brutto incidente automobilistico e si è ritrovata senza bambino e con una gamba più corta, cioè zoppa. Nessuno è immune al dolore. Prima di andarmene, in piedi di fronte allo specchio – lei alle mie spalle mi tiene le mani sui fianchi- mi vedo incredibilmente leggera e luminosa. Poi corro fuori attraverso il giardino ancora ghiacciato, respiro una quantità d’aria da stordire e penso al sole, alle onde, a una lunga spiaggia bianca, a una ….Marina.

Non sarà geloso, vero dottore? Può essere che io stia vivendo un tipico caso di transfert, sostituendo lei con Marina, ma non è detto che l’esperienza si rivelerà dannosa. Oh certo potrei ricevere grandi delusioni da questa donna di cui, tutto sommato, non so granché, ma anche lei era un estraneo all’inizio, così come tutti gli individui a cui ci accostiamo per la prima volta. E cosa può proteggerci dalla delusione se non il non-darsi, specchio del non-ricevere, che per tanto tempo mi ha pietrificata nella mia solitudine? Io ho bisogno di compagni di viaggio, che dividano con me almeno un po’ del tragitto lungo i giorni rendendolo meno pesante. Forse non é  “normale” questa mia costante ricerca di calore, vicinanza, presenza, di uno scambio profondo di sentimenti ed emozioni che non si esaurisca nell’arco di una sera. Mi guardo attorno e mi accorgo che il mito imperante sembra essere: ognuno per sé e Dio per tutti. La condizione ideale è indipendenza e autonomia. Vanno forte i singoli, le vacanze individuali, le monoporzioni al supermercato, il telelelavoro, le amicizie intercontinentali, il sesso virtuale. Dunque va di moda la solitudine. Cosa cerco io, allora? Cosa me ne potrò mai fare delle persone che desidero incontrare, conoscere, in un reciproco gioco di scambi e confronti? Da  dove mi viene questo interesse così datato, forse obsoleto,  per le persone più che per i computer, la tecnologia, la velocità e il rendimento?

Dottore caro, non credo che risponderà a questa mia lunga lettera, forse non è previsto dalla pratica terapeutica, forse non ne ha voglia, forse sarebbe inutile. Per cui continuerò per la mia strada.

Marina dice: - Cerca di camminare a piedi nudi- .

E io: - Non posso! Detesto tenere i piedi per terra! –

La vedo spalancare gli occhi, poi scoppia a ridere. Mi consiglia di riflettere con attenzione su ciò che ho detto, ma sono stupita quanto lei: da dove mi è venuta un’affermazione simile? I piedi per terra. Il mio leggerissimo corpo saldamente appoggiato al suolo. Marina annuisce con un sorriso dolce. Dunque non sono solo spirito e testa, ma anche carne e sangue. Non soltanto emozioni, ma anche corpo. Un corpo indiscutibilmente vivo  e quindi accompagnato dalla fame e dalla sete, dal desiderio e dalla spossatezza che gli appartengono. Un corpo che abbisogna di tante cose pratiche ed essenziali come abbracci, carezze, vicinanza, sorrisi, risate. Marina mi stringe il viso tra le mani, dolcemente:

- Non guardare gli altri. Vivi a modo tuo. Trova la tua strada. -

La mia strada e i piedi per terra. D’un tratto mi sembra di aver ricevuto delle coordinate ben precise: una direzione concreta.

- Lascia uscire la bellissima luce che hai dentro-  ha detto Marina, prima che me ne andassi.

Ma di quale luce parlava? Mi sono sempre considerata una persona triste, confusa, contorta. Forse per un certo periodo mi sono creduta anche appassionata, coraggiosa e intraprendente, ma poi quando Luca mi ha mollata da un giorno all’altro è cambiato tutto. E perdere il lavoro è stata un’ennesima batosta. Mi dica dottore: anche lei vedeva la mia luce? Ma non aspetterò la sua risposta, mi perdoni. Voglio fidarmi di Marina e del mio istinto. Così ora mi tolgo le scarpe e le calze,  appoggio con precauzione i piedi a terra. Provo l’impulso istintivo di  gettarmi sul divano e di sollevare le gambe, ma resisto. Cerco di stendere le dita per trovare un vero contatto col suolo. Mi è difficile non contrarre gli alluci per poi spostare il peso del corpo sui lati esterni dei piedi, come faccio sempre, tenendomi quasi in bilico su pochi centimetri di carne e di ossa. La terra mi spaventa anche se il pavimento è pulito, tiepido, liscio. Respiro profondamente. Mi sforzo di fare aderire i talloni e le piante alle piastrelle lucide di legno. Respiro. La terra mi sostiene e questo mi stupisce. Non sto barcollando sui soliti tacchi altissimi, non devo concentrarmi per restare in equilibrio. E’ una posizione davvero insolita. Mi spinge a raddrizzare spontaneamente la schiena, ad abbassare le spalle, a contrarre il ventre.Sento i polmoni riempirsi d’aria e di ossigeno. Divento più leggera, più stabile.Respiro ripensando alle ultime settimane: mi sono trovata un lavoro, ho rinnovato il mio mini appartamento, ho un nuovo taglio di capelli e un’amica fisioterapista di nome Marina. A volte rido e a volte piango, prendo i farmaci che mi sono stati prescritti, e mi dico che la vita è faticosa per tutti e piena di imperfezioni, ma è la sola che abbiamo.

Se l’analisi doveva aiutarmi a sbrogliare i nodi, probabilmente in parte ci è riuscita. Ma l’analisi non è la panacea di tutti i mali e un analista non è Dio – anche se lo dico con estremo affetto.

Dunque sembra proprio impossibile risolvere le cose definitivamente e dopo continuare a vivere per sempre felici e contenti, come nelle favole. Forse è possibile, invece, fare un piccolo  passo avanti ogni giorno, stare un po’ meglio, e dedicarsi ad attività più appaganti del pianto e dell’autocommiserazione.  L’amore di un uomo resta una speranza ma non è più una priorità assoluta per me. E non ho una vita travolgente, certo, ma l’alternativa che ho sperimentato personalmente – la paralisi, il buio, il silenzio, il dolore indicibile - non era affatto migliore anche se, per rendermene conto, ho dovuto planare sulla superficie delle cose e poggiare i piedi a terra, ricominciare a respirare profondamente, fare punto e a capo. Che cosa ne pensa, dottore? Molti direbbero che non si tratta di un processo complicato, ma forse proprio per questo è stato tanto faticoso: le cose semplici non sono mai le più facili.

Le auguro ogni bene.