“ Si scrive ciò che si sente e si vive. Si scrive con tutto il proprio essere. E’ la sola maniera di essere onesti, di essere se stessi”.

Ivy Compton-Burnett

martedì 25 giugno 2013

MILENA MILANI, la ragazza di Albisola


LA RAGAZZA DI ALBISOLA
MILENA MILANI intervistata da Alina Rizzi

Milena Milani, scrittrice, pittrice, poetessa. Una ragazza inquieta e vagabonda che dopo aver attraversato tutto il secondo '900 con la sua arte in versi e colori è approdata ad Albisola, oasi artistica marinara a tre chilometri da Savona, per proseguire instancabile la sua minuziosa opera di osservatrice del mondo, in particolare, di quello femminile. La incontro prima nei suoi famosi - ma misteriosamente, come capita spesso in campo editoriale, poco ristampati- romanzi, e poi attraverso lunghe telefonate che mi spingono alla scoperta delle poesie ( le ultime edite nello scorso autunno) e delle allegre ceramiche. Ed ecco che nel racconto di questa artista dall'intraprendenza inarginabile prende forma il mondo culturale e letterario dal dopoguerra fino ad oggi, un mondo in cui i nomi illustri si susseguono e si mescolano a quelli di amici e colleghi. Ma facciamoci raccontare tutto dalla protagonista stessa, che è generosa di ricordi come di opere, e per questo tanto affascinante.
D. Il suo primo romanzo si intitola "Storia di Anna Drei" ed uscì nel 1947. Era una giovane donna quando scrisse questo libro così lirico, intenso e doloroso. Che cosa la portò ad elaborare una storia così cupa?
R. Non trovo che "Storia di Anna Drei" sia così cupa. Come molti miei personaggi ha in mente la vita e la morte, due estremi di ogni creatura. E' giovane ma i suoi pensieri hanno una profondità complessa, che viene fuori anche dal particolare momento storico di quel tempo. In Francia, quando tradussero il romanzo, dissero che si trattava di un esistenzialismo italiano. Il libro piacque molto a Sartre che voleva pubblicarlo a puntate sulla sua rivista "Temps modernes". Lo aveva letto nella traduzione francese fatta da Marcel Arland. Ma l'editore Stock non volle aspettare che uscisse prima lì sopra. In quel dopoguerra Anna Drei fu il simbolo di una ragazza senza radici, come tutti. In Italia vinse il premio Mondadori 1948, battendo Oreste Del Buono e Luigi Cantucci che erano stati prescelti con me. Emilio Cecchi iniziò la sua collaborazione all'Europeo con un grande articolo dedicato al romanzo. Il poeta Cardarelli mi scrisse una lettera, diventata storica, dove dichiarava: " Cara Milena, il tuo romanzo l'ho letto d'un fiato. E' un libro singolarissimo: originale e terribile. Anna Drei non è una specie di Saffo moderna? Quel gelo nelle vene di cui si discorre nel manoscritto di Anna Drei, fu già noto alla poetessa greca. E' il gelo dell'amore, dei grandi erotici, dei celebri sensuali… Hai scritto, con meravigliosa disinvoltura, una fortissima opera. La scrittura è leggera, melodica, felicissima. Chi ti scoprirà? Il tempo, sta certa. Tu avrai un nome. Lo afferma il tuo vecchio amico Vincenzo Cardarelli".
D. Il suo libro più famoso, però, è "La ragazza di nome Giulio",del 1964, da cui fu tratto anche un film. Il processo che seguì la pubblicazione influenzò in qualche modo le sue scelte letterarie successive?
R. No, assolutamente. Il processo mi ha turbato ma io ho sempre ritenuto di essere nel giusto. Sentivo che prima o poi ci saremmo evoluti, che la mentalità sarebbe cambiata. Infatti il mio romanzo successivo, "Soltanto amore", dove si parla di sesso in maniera più esplicita, non provocò denunce. Io lo scrissi quasi per sfida. Il libro vendette moltissimo, nonostante alcune pagine scabrose.

D. Come ha vissuto l'etichetta di "pornografa" incollatele addosso in quel periodo?
R. L'etichetta di pornografa ebbe conseguenze pratiche. Lavoravo al Corriere d'Informazione (edizione del pomeriggio del Corriere della Sera), avevo una rubrica in terza pagina, molto seguita. Su due piedi fui cacciata dal direttore Alfio Russo, perché il mio nome "non era più gradito alla proprietà". Rimasi così sconcertata che non rivendicai nemmeno quanto mi era dovuto. Per un lungo periodo non trovai collaborazioni nei giornali. Inoltre gli amici scrittori, da Moravia a Ercole Patti, eccetera,non mossero un dito per aiutarmi. Soltanto il poeta Ungaretti testimoniò a mio favore al processo. Venne da Roma a Milano, al Palazzo di Giustizia, ma i giudici non presero sul serio le sue parole e mi condannarono.
D. "La ragazza di nome Giulio" è stato recentemente ristampato nelle edizioni ES, ma ancora in una collana erotica, a distanza di tanti anni. Cosa ne pensa?
R. Ho esitato molto prima di accettare la proposta di questo editore di Milano, anche se pubblica edizioni bellissime. La ragazza di nome Giulio, a mio giudizio, dopo quel processo che sconvolse me e lei, come immagine, mettendo su entrambe l'etichetta di pornografe, può aspirare, deve aspirare a un capovolgimento totale, da parte di un editore valido e autorevole, di valutazioni. Scrisse Salvatore Quasimodo, premio Nobel: "Il bene e il male, l'amore e l'erotismo, il sesso e la sensualità morbosa. Chi può mettersi sulla cattedra e stabilire fra due poli, quale sia il negativo e quale il positivo nell'arte? L'amore della Ragazza di nome Giulio è un sentimento non solo intatto negli abbandoni volontari o no al sesso, ma è una forza tragica, una frattura-simbolo che se appare legata a una angoscia esistenziale ha un valore "presente" nella civiltà che viviamo".
D. I suoi ritratti di donna sono ancora molto attuali e intensi, penso per esempio a "La rossa di Via Tadino", una storia universale, in cui la maggior parte delle donne può rispecchiarsi. Come mai allora i suoi libri non vengono più ristampati?
R In questo periodo non ho più un editore importante che ristampi i miei libri. Non sono il tipo da chiedere qualcosa. Credo anch'io che dovrei avere i miei romanzi di nuovo in circolazione che, del resto, hanno sempre avuto molti lettori per ogni ristampa. E' vero che i miei ritratti di donne continuano ad essere attuali; ricevo infatti dichiarazioni scritte o verbali di lettrici che trovano un mio vecchio libro in antiquariato o su una bancarella, e si riconoscono nella protagonista. Di questo sono felice. Ma sono stata anche delusa dagli editori, a cominciare da Mondadori, il quale non pubblicò "La ragazza di nome Giulio", io allora passai a Longanesi ma quando ci fu il processo proprio Mario Monti, proprietario della casa editrice, affermò per mezzo del suo avvocato, che aveva fatto uscire il mio romanzo senza leggerlo, cioè "a scatola chiusa", perché già allora ero "una scrittrice di chiara fama". Questo comportamento mi addolorò tantissimo, cosicché passai ad un altro editore, Rusconi, il quale ristampò tutti i miei libri. Poi morì Emilio Rusconi, capo della casa editrice. Il figlio non si è più occupato di narrativa ma soltanto di rotocalchi.
D. Perché ha sempre raccontato storie di donne? E quanto c'è di autobiografico in questi ritratti?
Ho raccontato storie di donne nei romanzi e nei racconti perché il mistero donna mi intriga. Io stessa mi stupisco di me stessa. Ho sempre cercato di scrivere come se tutto fosse vero, e anche autobiografico. Amo confondere le carte. E attribuire ai miei personaggi pensieri e azioni che potrebbero appartenermi.
D. "Io donna e gli altri", del 1972, è un libro che racconta un lutto, un dolore indicibile. Non si preoccupò di perdere lettori pubblicando un libro così diverso dai precedenti? Come fu accolto quando uscì?
R. Non ho perduto lettori con questo libro, anzi ne ho trovati moltissimi. Il dolore, la perdita di un essere amato avvicina le persone. Mi sono accorta degli altri, ho capito gli altri proprio scrivendo quel libro. Attraversavo un momento drammatico, avevo il bisogno viscerale di parlarne. Infatti quando uscì quella storia umana ricevetti lettere e telefonate da tanta gente sconosciuta, che si ritrovava nelle mie pagine. E adesso, a tanta distanza di anni, se qualcuno riscopre quel testo, magari in biblioteca, avverte la necessità di comunicare con me, mi scrive, vuole sapere notizie sul mio conto, se sono viva, dove abito, che cosa faccio. Insomma quel libro seguita a trasmettere i miei sentimenti, disperazione e gioia, sesso e anima.
D. Che cosa ne pensa della letteratura contemporanea, delle scrittrici italiane?
R. Oggi le donne sono molto più libere, anche in letteratura. Affrontano la scrittura con serietà, con impegno. Hanno talento. Leggo spesso ( e li compero) libri scritti da donne. Non mi dispiace che parlino di sesso, che abbiano un linguaggio magari spregiudicato. L'importante è che non si lascino forviare dalle mode.
D. Come vede la donna di oggi?Libera, consapevole, spregiudicata, come ci si aspettava che diventasse dopo il femminismo? Non crede che il rapporto con gli uomini risenta ancora molto di quegli "sbilanciamenti" che lei ha ben descritto nel romanzo "La rossa di Via Tadino"?
R. Il rapporto del mondo femminile con quello maschile, tuttavia, non è ancora come dovrebbe essere. Basta leggere quante domande pongono le donne alle titolari delle rubriche che riguardano la posta del cuore, su riviste o quotidiani. Dopo il femminismo non è che si siano fatti molti passi in avanti. Essere spavalde non significa niente. La donna possiede "un mondo murato" al quale il maschio non sa bene come avvicinarsi. Penso anche che sia meglio non concedere troppo agli uomini, cioè è bene lasciare per noi certi margini di sicurezza. Credo che non sarà mai possibile che i due sessi si capiscano totalmente.
D. Lei è un'apprezzata pittrice oltre che scrittrice: come ha coniugato due "mestieri" tanto impegnativi? Considerando soprattutto che ha scritto anche molti articoli, poesie, critiche d'arte e organizzato mostre.
R. Sin da ragazza avrei voluto iscrivermi a un Istituto d'Arte ma nella mia città non esisteva niente di tutto questo. Di nascosto frequentavo qualche pittore locale, e le fabbriche di ceramica a Albisola, dove anch'io presi a lavorare. Ma la scrittura era dentro di me. Vinsi il primo premio di un concorso bandito dal quotidiano "Il Giornale di Genova" con un testo in cui avevo raccontato la mia visita a un atelier di un pittore. Nella mia vita e nella mia famiglia scoppiò una specie di scandalo. Scrivere e dipingere sono nel mio destino da sempre, sin da bambina. A scuola nei temi mettevo sempre illustrazioni e anche la mia firma in grande.
D. Che relazione c'è tra la sua scrittura e la pittura? Quale delle due è stata prioritaria?

R. La gente mi conosce soprattutto come scrittrice ma, a un certo punto della mia vita, dato che tenevo mostre personali una dietro l'altra, sulla "Fiera Letteraria", settimanale di allora, venne scritto che io avevo abbandonato la letteratura per l'arte. Queste parole non venivano usate, per esempio, per Buzzati che esponeva spesso le sue opere, o per Repaci scrittore-pittore. C'è sempre stata una forma di discriminazione nei confronti della donna. Io, inoltre, sin dall'immediato dopoguerra, avevo aderito allo Spazialismo di Lucio Fontana, firmando tutti i manifesti di questo Movimento. Fontana era anche mio collezionista e spesso faceva cambi con me, una sua scultura per un mio dipinto. Gli piacevano le parole nei miei quadri. Quindi tra la mia scrittura e la mia pittura la relazione è molto stretta. Anche oggi, quando sono stanca di scrivere, riposo la mia testa con i colori. In realtà non mi riposo affatto perché disegnare, dipingere, fare ceramica sono altrettanto impegnativi di un racconto, o delle pagine di un romanzo.
D. E la poesia, cosa significa per lei?
R. La poesia è la mia oasi segreta, il momento in cui lascio che i sentimenti trabocchino dalla mia anima. Nella poesia sono me stessa totalmente, soprattutto quando mi sento infelice. Il dolore, la sofferenza per la scomparsa di mia madre, o dell'essere amato, mi hanno sempre spinto verso la poesia. Ignoro se scrivo bene o male in poesia, non me ne importa niente. Intuisco di abbandonarmi a una specie di diario molto intimo e personale. Lascio i miei versi a depositare per anni. A volte li pubblico, a volte no. Per me è essenziale averli scritti. Capire in che modo siano nati non mi riguarda, non mi va di essere classificata "poeta", non mi va di lottare per essere inclusa in una antologia. Del resto anche per la letteratura o per la pittura non ho mai telefonato a un critico per entrare in una enciclopedia, per fare parte di un gruppo, di un settore preciso. Sono una irregolare in tutto. Non ho organizzazione né metodo.
D. Attualmente a cosa sta lavorando?
R. In questo momento sopravvivo. Voglio dire che ho dovuto e devo affrontare problemi fisici. Il mio corpo mi ha tradito a mia insaputa. C'è una testimonianza di tutto questo nelle poesie di Malattia, appena uscito per Azzaytuna Edizioni. Attraverso le parole stampate cerco di esorcizzare alcuni miei tormenti. Mentalmente sono sempre attiva, mi occupo d'arte, di artisti, di mostre a Albisola, dove attualmente vivo in albergo. Scrivo anche per le riviste di Cortina d'Ampezzo, mia patria ideale, dove ho vissuto per anni, anche se sono sempre residente a Roma. Ho un temperamento vagabondo, amo parecchie città e paesi. Ovunque voglio mettere radici, avere un posto mio, libri, carte. Anche qui a Albisola la mia stanza è diventata una sorta di ufficio, di biblioteca, di atelier.
D. Di recente però ha donato tutta la sua ricca collezione d'arte.
R. Sì, a Savona, mia città natale, ho creato la Fondazione Museo di Arte Contemporanea Milena Milani in memoria di Carlo Cardazzo, con le opere della mia collezione. La Fondazione si è aperta il 18 luglio 2003 a Palazzo Gavotti, interamente restaurato, dove si trova anche la Pinacoteca Civica, nel centro della città. Sono felice di aver fatto questo dono ai miei concittadini. Ho voluto ricordare il mio compagno, grande gallerista di fama internazionale, scomparso nel 1963, che non ho mai dimenticato.



DIARIO DI UNA SCRITTRICE
in anteprima il nuovo libro di Milena Milani

L'altoparlante diffondeva la voce di Mussolini che annunciava agli italiani l'inizio della seconda guerra mondiale e io stavo andando in bicicletta. Pedalavo sul Lungomare di Albisola, con il mio vestito svolazzante, cucito da mia madre. Era giugno 1940, il giorno dieci, e colui che adesso è definito dittatore, in quel tempo veniva invece riverito e osannato. Per la verità in casa nostra questo non succedeva. Mio padre, anarchico e antifascista, era sempre nel mirino di chi portava la divisa. Spesso, nel nostro portone, qualcuno gli faceva lo sgambetto. Se lui si ribellava gli davano l'olio di ricino. Abitavamo al quarto piano di un palazzo nuovo, dove sono nata, situato in Via Quattro Novembre numero otto, che una volta aveva nome Venti Settembre. Di fronte c'era la ferrovia, c'erano i binari dove passavano i treni e, a sinistra, la Stazione Letimbro. Quel dieci giugno io avevo in mente di lasciare Savona, perché con mio padre, che mi proibiva questo e quello, avvenivano tante discussioni. Ma ora in bicicletta mi sembrava di essere felice. Mussolini mi appariva una specie di fantoccio, anche se si trovava a Roma, la città dove mi sarei recata per iscrivermi all'Università. Amavo pedalare su e giù per Albisola. Incontravo qualche pittore matto e qualche ceramista che mi urlavano dietro parole esclamative. Avevo conosciuto da poco un tipo che mi affascinava: Tullio Mazzotti, battezzato da Marinetti Tullio d'Albisola, sin dai momenti del secondo Futurismo. Io venivo fuori da una sorta di dramma. Un ragazzo di cui ero innamorata era morto l'inverno precedente. Aveva un fisico atletico, eppure era morto a causa di un graffio in un neo sulla schiena, che un avversario gli aveva procurato, durante la partita di pallanuoto, che lui giocava con la sua squadra. Quel neo si era infettato. Io dissi a me stessa che perlomeno non sarebbe andato in guerra, che Mussolini non avrebbe potuto convocarlo per dare la sua vita alla Patria. Ero fortemente polemica e avrei voluto gridare la mia rabbia contro qualcuno. La gioia di poco prima era scomparsa. Così, pedalando, nonostante avessi la bocca arida, riuscii a formare un po' di saliva e la sputai per aria, ma le goccioline finirono addosso a me. Disprezzavo il duce nelle cui organizzazioni ero inquadrata. Da bambina avevo frequentato un asilo tenuto dalle suore. Quando ero cresciuta mi avevano iscritta alla scuola pubblica e avevo indossato la divisa di Piccola Italiana, e anche quella di marinaretta, per andare a vogare nel Porto di Savona la domenica mattina.
        (1. continua)



MALATTIA
(Azzaytuna Edizioni, ottobre 2003)
1.
Che cosa
significava
quel libretto rosso
che aprii
maldestra
per scriverci
la mia solitudine?
Già ne ebbi uno
nell'era
di Mao
quando altera
proclamavo
le mie letture
Mao se n'è andato
come tutto
va
negli anni
nella vita
Ora un altro
taccuino
un altro bloc-notes
è qui
davanti a me
Apro le bianche
pagine
ci metto il vuoto
che atroce mi tormenta
(continua…)

1 commento:

  1. Le dedicai un mio Ex Libris originale inserito nel testo pubblicato da Longanesi, Milano!! Se vuoLe invierò,
    r.m.

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