“ Si scrive ciò che si sente e si vive. Si scrive con tutto il proprio essere. E’ la sola maniera di essere onesti, di essere se stessi”.

Ivy Compton-Burnett

lunedì 11 aprile 2016

Del tuo libro, PELLE DI DONNA...

Lettera di Anna Santoro, che ringrazio di cuore.



Ho letto il tuo libro e capisco la tua delusione per il silenzio.Siamo in una situazione orrenda. L’editoria e il mondo che la circonda è sempre più preso da meccanismi che poco hanno a che fare con cultura, autenticità, passione. Il tuo lavoro sulla violenza sulle donne è troppo poco “scandaloso”  (come certe trasmissioni tv):  racconta cose tanto conosciute (ma questo credo che tu lo sapessi quando ti ci sei dedicata)  che hanno quasi perso peso e gravità. Di certo interesse per  vendite o recensioni. Un poco come le immagini di morti, di bambini nel  fango, di corpi nel mare, che oramai destano, se lo fanno, solo una vaga pietà. Franzen scrisse proprio sull’appropriazione – e banalizzazione, aggiungo – da parte dei mezzi di comunicazione, di
ogni denuncia o svelamento. Si può andare oltre solo con la poesia, la creatività, la narrazione, ma  la poesia e la narrazione (fatta da un altro punto di vista di quello consueto) anche  interessano poco. E a pochi.
Eppure il tuo libro mi ha turbato, e non solo perché sei un’amica e una poeta e una “imprenditrice di cultura” che mi è cara, e dunque ho letto con particolare attenzione, ma perché possiede la grande dote di provocare, come dovrebbe fare ogni opera, la “messa in discussione” (si diceva una volta) di chi legge.  Leggere è essere letti, e ciò avviene quando chi legge sa che  l’incontro è tra il sé e l‘altro, la relazione è a doppio senso. Così, la cosa che ho trovato davvero interessante, è che con questo tuo lavoro rappresenti in maniera evidente ciò che noi magari già sappiamo ma di cui parliamo poco, ci giriamo intorno. Sulla violenza maschile, l’ho scritto tante volte, sono gli stessi  uomini a doversi interrogare, ma è sulla cultura femminile, mi
correggo: sulla cultura introiettata da tante donne, che questo libro ci obbliga a lavorare. E sulla cultura, mi correggo ancora: sul modo di fare cultura, di tante intellettuali. Questi racconti, che riguardano storie di vari ceti sociali, differenti culture e vissuti, in modo scarno e semplice ci rappresentano donne che mi piacerebbe reputare “fuori tempo”. E che purtroppo tante reputano fuori dallo spazio di interesse. La TV e i mezzi di comunicazione, lo sappiamo, insistono a parlare di “troppo amore”, di “raptus”, e simili, ma qui mi colpisce che alcune dicano: mi sono innamorata di lui e poi è diventato violento. Oppure: dopo le prime volte ho ritenuto che potesse cambiare. Oppure: accettavo la violenza perché bambina, a volte fraintendendo, eccetera…
Come si arriva alle migliaia, o ai milioni, di donne,  così indifese? Cosa possiamo fare, oltre che  contro la violenza, contro la cultura debole che ancora è radicata? Cosa dobbiamo PRETENDERE  dalle giovani che incontriamo a scuola, o dalle figlie di amici/che ancora così lontane e ignare dei tragitti che abbiamo fatto? E non lo dico per gloriarmi della nostra presunta maggiore conoscenza e coscienza, ma perché è inaccettabile che non sia il nostro primo pensiero. Ecco, il tuo libro è importante, il tuo lavoro è importante e sono felicissima di avere avuto l’occasione di  leggere. Mi ha fato rrflettere su ciò che, ripeto, magri sapevo, ma non in modo tanto vivo e coinvolgente.

Un grande abbraccio.

Anna

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