“ Si scrive ciò che si sente e si vive. Si scrive con tutto il proprio essere. E’ la sola maniera di essere onesti, di essere se stessi”.

Ivy Compton-Burnett

venerdì 28 giugno 2013

CLARICE LISPECTOR, prezioso infinitesimale



Perché leggere Clarice Lispector? Perché i sui libri svaniscono presto dalla memoria, ma lasciano nel petto una ridda di emozioni che, nel tempo, si fanno compagne di viaggio.
In quasi tutte le storie narrate succede pochissimo e il massimo dell'attenzione è dedicata alle sensazioni dei personaggi. Ricorda Marguerite Duras, in certi punti in cui le frasi diventano brevi, rapide ed essenziali. La descrizione dei fatti non è rilevante, sembra suggerire Lispector come Duras: è più importante registrare i mutamenti interiori, le scoperte improvvise, le delusioni segrete, i cambiamenti intimi, a volte repentini. In altri momenti, invece, la scrittura diventa ridondante: ogni sostantivo è seguito o preceduto da un aggettivo, molto spesso imprevisto, insolito, illuminante. La pagina comunque non risulta mai leziosa o appesantita, ma più intensa e profonda. Gli aggettivi e le metafore infatti, così ravvicinate, sembrano condurre sempre più dentro il testo, sempre più nella profondità del personaggio. Il mondo esteriore quasi scompare, insieme alle luci, ai rumori: resta l'evidenza trasparente dei pensieri del personaggio, le sue verità personali, le sue convinzioni. Lispector ci offre la visione di uomini, ma più spesso donne, nella loro nudità esistenziale. Uomini e donne scoperti dalle loro paure, dalle loro piccolezze: assolutamente autentici. Ma anche purificati da qualunque orpello ed esigenza letteraria. L'autrice infatti non sembra curarsi particolarmente dei bisogni del romanzo, del plot in sostanza, ma soltanto dei suoi personaggi, che segue da vicino, fianco a fianco, pagina dopo pagina, fino all'epilogo. Epilogo che di solito resta aperto, anche quando è la morte a concludere il racconto. Non si trova infatti nelle ultime righe, ma neppure nel resto del testo comunque, alcun giudizio morale, né la pretesa di chiarimenti e spiegazioni. Le storie sembrano semplicemente interrotte, ma non monche, non prive di un qualche elemento utile perché il lettore possa farne un uso del tutto personale, e formulare ipotesi proprie, soggettive.
Nei libri di Clarice Lispector sembra non accadere nulla e ci si dimentica presto degli eventi narrati, della sequenza temporale, delle ambientazioni, ma non - mai- dell'atmosfera del libro. Il dolore vissuto dal personaggio, oppure la sua solitudine, oppure la sua ingenuità, restano dentro il lettore e vengono quasi assimilati come esperienze proprie. Si ha l'impressione, spesso, di aver incontrato personalmente l'uomo o la donna di cui ci ha parlato l'autrice: se ne potrebbero descrivere certi atteggiamenti, certe pose, certe caratteristiche come se le avessimo avute sotto gli occhi molto a lungo.
Le donne di Lispector sono tutte le donne, ognuna vi può riconoscere qualcosa di proprio. Soprattutto nella descrizione di quelle piccole delusioni, di quelle brevi ferite e di quei moti di speranza segreti, indicibili, che così spesso, non trovando risposta, restano come abbandonati in fondo all'animo.
Donne vere sempre, cento anni fa e tra cento anni ancora. Perché ciò che è dell'individuo non conosce tempo e riguarda tutti. Cambiano senz'altro le sembianze, i contorni, le ambientazioni: ma quelle non sono davvero importanti. E questa autrice lo sapeva benissimo.

VICINO AL CUORE SELVAGGIO
Soltanto delle immagini: una bambina che non sa come occupare il tempo e che ha pensieri troppo grandi, tanto da non riuscire a comunicarli. Una bambina un po' abbandonata a se stessa. E dopo, una ragazza che continua a pensare troppo ( ma esiste il troppo in questo campo?), che registra gli avvenimenti in base alle sensazioni che prova, che attraversa la vita con aria apparentemente tranquilla e neutrale, mentre dentro tutto la colpisce, la stimola, la interroga. Colpisce la solitudine di questa donna, Joanna, e l'anelito frustrato verso il marito indifferente, verso un amante taciturno. Così come il suo senso di estraneità verso le cose, gli accadimenti, il tempo e, insieme, la sua vitalità profonda e intensa. Sì, ha l'aria di un essere selvaggio, che si muove a tentoni in un mondo perfettamente sincronizzato ma cieco e sordo e, forse, un tantino ottuso.

IL SEGRETO
Clarice Lispector ha scritto questo romanzo dopo "Vicino al cuore selvaggio". E' il suo secondo libro dunque e assomiglia molto al precedente per atmosfere e temi. Un'altra donna, Virginia (perché penso così spesso alla Woolf leggendolo? Solo per il nome in comune?), vive un'infanzia trasognata e intensa. Innamorata del fratello (troppo occupato da sé per badarle) appare lontanissima dai genitori, dalla sorella, dalla casa, seppur amati. A tratti ci si perde nei pensieri vorticosi di Virginia, se ne resta come storditi per l'intensità. In certe frasi il senso mi sfugge, mi appare criptico ma musicale come una poesia. Infatti continuo a leggere affascinata dai suoni più che dal significato per poi riemergere, dopo alcune pagine, con un nuovo stimolo a continuare, incuriosita dunque, anzi interessata. Virginia cresce, va a vivere in città, il fratello la lascia. Diventa l'amante di un uomo per cui non sa cosa provare. E' sola, la casa e la famiglia lontane, e pensa, pensa, pensa. Ma è così occupata a riflettere su tutto che troppo spesso si perde dentro le proprie elucubrazioni. La si sorprende dentro giornate di noia e di vuoto, di depressione e di ansia, di fobie che vanno e vengono. Sembra in attesa, come sospesa nei giorni. Cosa aspetta? Chi aspetta? Forse, se riuscisse ad innamorarsi.. Ma come può amare un essere così sensibile, attento, vulnerabile? Nessun uomo sarebbe mai abbastanza.
Il mondo le è estraneo: va alle feste senza partecipare veramente, parla con gli altri ma vorrebbe tacere. Esce ma preferirebbe dormire. E mangia, mangia compulsivamente, senza sapere il motivo di tanta voracità. Un vuoto d'amore? Virginia è una donna sfortunata, ma anche troppo fragile per prendere in mano la propria vita ed imporla. Non ce la fa, semplicemente. E nell'unico momento in cui crede finalmente di aver accumulato abbastanza energia ( durante un viaggio a casa, dalla sua famiglia) per poter affrontare una nuova esistenza, per poter tentare di amare, per poter fare progetti... muore. E le persone che la soccorrono ne approfittano per parlarne male e per insultarla. Dunque, incompresa fino alla morte. Una morte che conclude un'esistenza che sembra rubata, perché mai profondamente posseduta.

L'ORA DELLA STELLA
L'io narrante corrisponde ad uno scrittore un po' annoiato. E' interessante scoprire come si possa non aver alcuna voglia di scrivere un libro ma esserci spinti dalla storia, dai personaggi, che, seppur inventati, sono del tutto reali dentro l'autore. La descrizione dell' ingenuità dei protagonisti, dell'ignoranza, delle meschinità, è strepitosa. Non si può non restarne coinvolti e quindi ridere di loro, sbeffeggiandoli anche per la stoltezza e il cattivo gusto, pur provandone un'assoluta pietà. E questo credo sia possibile perché Lispector racconta una storia dura e triste, ma senza utilizzare un tono melenso. Semplicemente lei registra i fatti, consegnandoceli così come sono, senza interferire, senza giudicare o spiegare. Racconta una storia restandone tranquillamente al di fuori.
L'ora della stella corrisponde al momento in cui la protagonista muore, in un incidente stradale (anche lei!). Il guidatore scappa (come ne "Il segreto") e una vita, che forse stava proprio in quell'istante per sbocciare ad una realtà finalmente avvicinabile, in qualche modo più comprensibile, viene bruscamente interrotta.
Non c'è spiegazione a tale ingiustizia perché il libro è assolutamente realistico e dunque non può offrire consolazioni.

LEGAMI FAMILIARI
Racconti come cristalli. Perfetti, preziosi. Istantanee di un mondo attualissimo ed eterno: universale. Le protagoniste sono vive, autentiche: sono tutte le donne del mondo, dentro. E sono regolarmente tradite, deluse nei loro aneliti più profondi. Perché così è, la maggior parte delle volte. Nessun racconto offre una conclusione definitiva, ragionevole. Hanno tutti un finale aperto, criptico, inspiegabile, del tutto sospeso, ma spesso fluido e musiale come poesia.
La descrizione degli animali dello zoo nel racconto intitolato "Il bufalo" è una gioia: la giraffa è davvero una ragazza con le lunghe trecce; il cammello è di stoppa; l'elefante sopporta il suo peso con dentro agli occhi una bontà da vecchio; le scimmie sono felici come piante; l'ippopotamo è un rotolo adiposo di carne. Descrizioni esemplari, che evidenziano il valore insostituibile della metafora, l'arte minuziosa dell'affabulazione.
L'arte di una grande scrittrice.

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