“ Si scrive ciò che si sente e si vive. Si scrive con tutto il proprio essere. E’ la sola maniera di essere onesti, di essere se stessi”.

Ivy Compton-Burnett

martedì 25 giugno 2013

UN CORPO CHE URLA, Elena Rota - fotografie

UN CORPO CHE URLA fotografie di Elena Rota


ELENA ROTA, MOSTRA FOTOGRAFICA

1 - 10 luglio 2011

inaugurazione venerd’ 1 luglio h.20,30

Aquilegia Beach Club – Longone al Segrino

Introduce la giornalista e scrittrice Alina Rizzi



Conosco Elena da alcuni anni e il suo immutato desiderio-bisogno di esprimersi attraverso la fotografia. Soltanto cinque anni fa, era ancora una giovane donna alla ricerca di una sua voce benchè in lei fosse così evidente, per me che conosco gli affanni di un giovane artista, l’ansia e l’inquietudine che affiancano sempre una ricerca autentica, profonda, interiore. Elena aveva bisogno innanzi tutto di cambiare, di fare scelte troppo a lungo rimandate per ritrovare se stessa e quindi legittimarsi a mostrare chi era.
E’ una storia condivisa da tante donne artiste, soprattutto da quelle che prima ancora di essere donne si sono sentite artiste. Elena ama la pittrice messicana Fridha Khalo, che visse chiusa in un busto ortopedico a causa di un grave incidente stradale e fu quindi destinata e lunghi periodi di parziale immobilità. Ma Fridha Khalo, che non poteva rinunciare alla sua arte più che alle proprie gambe, trovò il modo di dipingere a letto piccole tele, che poteva tenere appoggiate sopra il petto e, usando uno specchio appeso in alto, ritrasse se stessa all’infinito, così che tutte le sue emozioni, i dolori, la sofferenza del corpo e dello spirito, prendessero forma e divenissero evidenti, a volte, che urlassero. Proprio come scrive Elena del suo lavoro: “Un nuovo scatto è una nuova immagine, appena nata già URLA al mio posto, parla per me, mostra come tutto ciò che è e non è, che siamo e non siamo, sia fragile, pronto a mutare all’improvviso indipendentente dalla nostra volontà.”
E queste prime fotografie che Elena ha voluto condividere con noi sono inequivocabilmente un urlo, dentro una tradizione artistica femminile che ha fatto del corpo il suo baricentro. Com’è inevitabile se pensiamo al corpo delle donne destinato a cambiare nel corso della vita, a subire trasformazioni eclatanti, sofferenze, lacerazioni. Addirittura a contenere un altro essere umano, a sanguinare mese dopo mese per anni interi. Nessuna donna può scordare il proprio corpo senza pagarne un prezzo altissimo. E così le foto che vediamo esposte ci mostrano gambe, mani, occhi, pelle. Un corpo presente ma in mutamento. Un corpo celato, scomposto, oscurato, inciso. Perché Elena desidera scatenare delle emozioni, come è auspicabile di ogni opera d’arte, ma con il solo utilizzo di luci e ombre, lontano da un significato non più necessario, circoscritto ad un gesto di assoluta libertà, scevro da vincoli, controllo, preoccupazioni estetiche e morali.
Un gesto quasi surrealista, come lo si intravede in quell’occhio spalancato da cui scendono gocce, forse lacrime. Un omaggio al grande fotografo Man Ray? “Un omaggio involontario”, dice Elena, “nato dalla lavorazione di una foto iniziale, che è stata trattata con colla, solvente, bruciature e quindi fotografata di nuovo, perché l’immagine di quel mutamento non andasse perduto.”
Elena non interpreta le proprie fotografie e non chiede agli altri di farlo. Semplicemente si presenta insieme alla propria “ricerca di essenzialità, intensa ed emotiva.” Ci offre la sua silenziosa e assoluta attrazione per l’infinito, permettendoci una visione mutevole dei suoi lavori, come fossero opere in progress, cristallizzate nel loro divenire.
Tutto ciò che ci colpisce in queste immagini può essere vero o frutto di fantasia, non ha alcuna importanza. Nella foto di una crepa in un muro, io ricordo istintivamente Malina, un romanzo di Ingeborg Bachmann del 1970, in cui esiste un’altra surreale breccia nel muro, nella quale la protagonista entra e si dissolve.
Nella gambe di una donna, sfocate dall’acqua in cui sono immerse, ritrovo i corpi nudi della fotografa statunitense Francesca Woodman, anche lei amante di stanze vuote, intonaci cadenti, profili sfocati.
Elena sta ancora cercando il suo stile, com’è giusto essendo molto giovane (ha 26 anni), ma sa già ciò che vuole dire, raccontare, trasmettere. Ama Diane Arbus e Nan Goldin, ha scelto le sue icone, ha trovato una direzione: quella che la porterà fuori dagli schemi, in un altrove artistico in cui lasciarsi andare completamente.




    
  

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